Perché oggi la Norvegia potrebbe decidere di boicottare i mondiali in Qatar del 2022

Sarà come giocare in un cimitero
-Ole Kristian Sandvik-


“Diritti umani in campo e fuori”. È iniziata con questa frase, impressa sulle maglie utilizzate dalla nazionale norvegese nei prepartita di diverse gare disputate negli ultimi mesi, la campagna del mondo del calcio contro i Mondiali in Qatar in programma per il 2022. Dopo la decisione della nazionale scandinava di indossare un messaggio forte e diretto lo stesso hanno fatto Germania e Olanda e ora molte squadre sarebbero pronte a schierarsi in questa battaglia.

Qatar 2022 – Una protesta nata dai numeri angoscianti che si nascondono dietro l’entusiasmo con cui Doha continua a rilanciare l’evento calcistico più importante in programma per il prossimo inverno. Più di 6.500 lavoratori provenienti prevalentemente da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti durante la costruzione di stadi ed altre opere collegate al mondiale di calcio negli ultimi dieci anni. Un numero impressionante che, tradotto, significa dodici morti al giorno da quando a dicembre 2010 la Fifa annunciò l’assegnazione dei mondiali 2022 al Qatar. Per dare un’idea dell’eccezionalità di ciò che sta accadendo in Qatar, il un report dell’ITUC ha comparato le morti legate ai mondiali Qatar 2022 con quelle di altri mega-eventi sportivi a partire dalle Olimpiadi di Sydney nel 2000: il numero massimo di morti si era raggiunto con le Olimpiadi invernali di Sochi 2014, quando morirono 60 persone. Negli altri eventi, le morti sono state tra le 0 (Olimpiadi di Londra 2012) e le 40 (Olimpiadi di Atene 2004). In Qatar, a oltre un anno dalla fine dei lavori, i morti sono già oltre 6.500.

Il paese, che vuole farsi trovare pronto agli occhi del mondo, ha dato il via a una imponente progetto infrastrutturale che prevede la realizzazione di sette nuovi stadi, un aeroporto, nuove infrastrutture e una nuova città per ospitare la finale. Per la partita più importante, infatti, il Qatar ha deciso di non limitarsi a costruire uno stadio ma sta realizzando una città partendo da zero. Losail, questo sarà il nome, è “un progetto futuristico, che creerà una società moderna e ambiziosa.” Una società moderna che nascerà dalla violazione dei diritti dei lavoratori migranti, sfruttati ed esposti al pericolo per non intralciare la realizzazione del più ambizioso progetto della monarchia. Il tutto mentre il comitato organizzatore e le autorità qatariote negano ogni legame tra i mondiali e le morti affermando che i decessi collegati alla realizzazione degli stadi siano solo 37 mentre gli altri sono da ricondurre a cause naturali. Cause naturali che, però, sarebbero facilmente collegabili al lavoro svolto se il governo del Qatar non avesse negato l’autopsia.

All’origine di questo trattamento disumano risiede il sistema della kafala, denunciato da molte organizzazioni a sostegno dei diritti umani come una forma di moderna schiavitù. Questa regolamentazione prevede che il datore di lavoro abbia forti tutele legali per poter controllare i lavoratori migranti che fa entrare nel proprio paese. Tra queste ci sono forti restrizioni sulla possibilità di cambiare impiego, senza aver ottenuto il permesso del datore di lavoro, sulla facoltà di dimettersi e perfino sulla possibilità di lasciare il paese senza permesso. A seguito delle ripetute denunce a livello internazionale e delle indagini dell’Organizzazione mondiale del lavoro o di Ong come Amnesty international, il Qatar ha finalmente abolito la kafala a settembre del 2020. Un’abolizione solo formale che, nella pratica, non ha cambiato in modo incisivo il meccanismo di assunzione di lavoratori stranieri né aumentato le tutele per i dipendenti.

Ora – Le possibilità che la Fifa, sempre più sotto pressione, decida di revocare l’assegnazione dei mondiali al Qatar è però quantomai remota. Il massimo organo del calcio mondiale fino ad ora si è limitato ad adottare nel 2017 una “Politica sui diritti umani” e nel 2019 la “Strategia congiunta di sostenibilità sui mondiali di calcio del 2022 in Qatar”. Due documenti volti a lasciare “un’eredità di standard e prassi di primo livello per i lavoratori sia in Qatar che a livello internazionale” ma che non stanno impendendo né rallentando lo sfruttamento dei lavoratori migranti.

L’immobilismo della Fifa, però, non è stato accolto con favore da tutte le federazioni e molte nazioni sembrano pronte ad intraprendere azioni formali per chiedere un cambio di rotta. C’è chi, come la Svezia sceglie una linea soft, con una lettera indirizzato al massimo organismo del calcio mondiale in cui afferma che “tutti abbiamo il dovere di fare il possibile per assicurare che i diritti umani siano rispettati nella fase di preparazione e attuazione del torneo” chiedendo ai responsabili di verificare il rispetto delle condizioni dei lavoratori nelle fasi che precedono il torneo. Ma c’è anche chi potrebbe optare per una linea più dura: la Federcalcio Norvegese oggi potrebbe votare per autoescludere la nazionale dal mondiale del 2022. “Andare in Qatar sarebbe come giocare in un cimitero” ha detto Ole Kristian Sandvik, portavoce dell’associazione dei tifosi norvegesi. Una decisione che, se presa, sarebbe storica e renderebbe la Norvegia la prima nazionale al mondo a rinunciare volontariamente ad un mondiale. Una decisione che, però, porterebbe anche effetti collaterali non indifferenti: in caso si boicottaggio, infatti, la Norvegia andrebbe incontro ad una multa di 20.000 franchi svizzeri e l’esclusione dai successivi mondiali del 2026. Una scelta coraggiosa, un segnale forte alle altre federazioni ed un messaggio molto chiaro: i diritti umani valgono più di qualsiasi mondiale.

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