Cartelli e coronavirus: il Messico è sempre più un narco-stato

“Messico e nuvole la faccia triste dell’America
il vento insiste con l’armonica,
che voglia di piangere ho”
– Enzo Jannacci-


Il Messico si appresta a vivere i momenti più drammatici dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Con oltre 10.000 contagi, di cui oltre mille nella sola giornata di ieri, e quasi 1.000 vittime il paese sta infatti entrando nel pieno della crisi con prospettive di certo non rosee. “La diffusione del virus” ha detto nei giorni scorsi il ministro della salute Lopez “può essere così veloce da non consentire l’adattamento del sistema sanitario anche se stiamo attraversando il processo di riconversione”. Il governo centrale ha imposto, seguendo l’esempio del resto del mondo, condizioni severe disponendo la quarantena per i propri cittadini e sospendendo le attività non essenziali. Ma mentre l’intero paese si chiude in casa, c’è chi proprio ora esce allo scoperto: la criminalità organizzata.

Background – Il potere dei gruppi criminali messicani è cresciuto in maniera vertiginosa negli ultimi decenni del Novecento in modo parallelo alla crisi dei cartelli colombiani. Il declino dei principali concorrenti sulle rotte del narcotraffico ha infatti portato la criminalità messicana ad assumere un controllo quasi monopolistico dei flussi di cocaina verso gli Stati Uniti che ha generato un aumento non solo dei profitti ma anche e soprattutto del loro ruolo a livello internazionale. Se nei rapporti con l’esterno, questo potere ha portato a veri e propri accordi ed alleanze con i principali gruppi mafiosi sudamericani ed internazionali, ‘ndrangheta e Cosa nostra soprattutto, all’interno dei confini messicani ha prodotto profondi rapporti con la politica, l’economia, la società e la cultura messicana. Una penetrazione totale che ha interessato ogni ambito del tessuto sociale messicano tanto da indurre molti a reputare il Messico come un narco-stato.

Se fino agli anni ’90 si poteva individuare in messico la presenza di un solo gruppo criminale prevalente, il cartello di Gadalajara, negli ultimi 30 anni si è assistito ad un processo di frammentazione. Attualmente nel paese operano almeno 9 cartelli principali ma si contano almeno un centinaio di gruppi criminali minori legati in vario modo ai principali gruppi di narcos.  La frammentazione ha inevitabilmente portato ad un graduale aumento del conflitto tra i vari cartelli con un sempre più frequente uso della violenza per affermare il proprio potere sul territorio.

Violenza – Ed è proprio il carattere violento di queste organizzazioni ad emergere con dirompente chiarezza in questo periodo di crisi. Il governo federale e i funzionari statali stanno infatti concentrando i propri sforzi e le proprie risorse nella lotta al coronavirus lasciando di fatto ampio argine di manovra ai gruppi criminali che si trovano ad operare in un cono d’ombra mediatico-istituzionale che gli permette di agire con maggior libertà. Una maggior libertà che si è trasformata ben presto in un riacutizzarsi dello scontro tra i cartelli nel tentativo di ridisegnare gli equilibri e la geografia criminale aggredendo, spesso militarmente, i gruppi rivali. Una strategia frutto della brusca interruzione dei traffici di droga, in forte calo a causa delle restrizioni, che ha portato i cartelli a concentrarsi maggiormente su obiettivi “politici” provocando nel solo mese di marzo 2.585 omicidi, il numero più alto dall’inizio della raccolta dei dati nel 1997.

Caso emblematico è quanto accaduto nello stato di Guanajuato dove, a metà mese, si sono verificati violenti scontri tra il cartello locale di Santa Rosa de Lima, indebolito dalla repressione statale, e il rivale Jalisco New Generation. L’intervento statale in contrasto ai furti di carburante dagli oleodotti che attraversano lo stato del Messico centrale ha infatti indebolito in maniera significativa il cartello di Santa Rosa spingendo il gruppo rivale ad approfittare dell’emergenza sanitaria per provare a infliggergli il colpo di grazia e mettere le mani su un territorio particolarmente ambito proprio per la presenza di importanti attività criminali legate al carburante. Un episodio che rappresenta solo la punta di un iceberg molto più profondo fato di scontri e faide che stanno insanguinando l’intero paese.

Ma l’aumento della violenza non si sta manifestando solo negli scontri tra cartelli. Nel computo degli omicidi rientrano anche, purtroppo, vittime innocenti. Da Isaac Medardo Herrara Avilés, storico rappresentante legale di alcune comunità dello stato di Morelos ucciso nella piazza principale di Jiutepec, alla giornalista Maria Elena Ferral, raggiunta da otto colpi di arma da fuoco a Papantla. Un messaggio chiaro e determinato da parte dei cartelli: chi lotta e denuncia violenza, corruzione e forme di antistato, oggi, deve guardarsi da un doppio nemico. Il virus e i cartelli.

Aiuti – Il carattere di anti stato, o di potere parallelo a quello ufficiale, sta in questo periodo di crisi diventando sempre più evidente. Sfruttando la disperazione della gente e l’incapacità del governo di fornire assistenza e aiuti alle fasce più deboli della popolazione, i gruppi criminali stanno correndo in soccorso dei più poveri nelle periferie messicane. Distribuiscono cibo, portano aiuti sanitari, fanno la spesa e garantiscono aiuti economici al posto di uno stato colpevolmente assente. A Ciudad de Victoria, nello stato di Tamaulipas, il cartello del Golfo ha inviato i suoi uomini a bordo di lussuosi camion e pickup per distribuire cibo e aiuti. Le foto, pubblicate sui social come forma di propaganda, mostrano persone felici e sollevate con scatole di cartone piene di cibo e la scritta “il Cartello del Golfo a sostegno di Ciudad di Victoria”. Una dimostrazione di solidarietà e vicinanza, come se ne stanno vedendo a centinaia in tutto il paese, con cui i cartelli puntano a rafforzare il loro potere e radicamento sul territorio. Distribuendo aiuti i gruppi criminali puntano ad ottenere la riconoscenza della popolazione e di conseguenza una lealtà diffusa ed un appoggio totale. Così, alla fine della pandemia, i cittadini di Citta di Victoria e tutti quelli aiutati dai cartelli, saranno pienamente disponibili ad aiutare, coprire o difendere quel potere che si è dimostrato così disponibile ad alleviare le loro sofferenze nel momento più buio.

L’assenza dello stato, dunque, nelle aree più colpite dalla crisi economica sono colmate dai cartelli e dalla loro praticamente infinita disponibilità di capitali. Solo tra la metà di marzo e l’inizio di aprile, si stima che in Messico sono stati persi 346.000 posti di lavoro a cui si aggiunge oltre mezzo milione di lavoratori in nero che non compariranno mai nelle statistiche. Una desolazione economica diffusa che permette ai cartelli di agire su una fetta di popolazione abbandonata dallo stato e che non ha alternative se non accettare gli aiuti criminali. “Sappiamo chi sono e di cosa sono capaci” ha commentato un cittadino di Guadalajara dopo aver ritirato un pacco di alimento consegnato dalla famiglia del “Chapo” Guzman “ma non abbiamo alternative. Sono la soluzione meno negativa”. Una frase che racchiude il senso della situazione messicana. I gruppi criminali sono il meno peggio. Con uno stato che non riesce ad aiutare gli ultimi, a farlo è la criminalità organizzata con conseguenze che potrebbero essere devastanti. Tra qualche mese, quando la crisi sarà finita e il Messico tornerà alla normalità lo Stato avrà perso la fiducia dei propri cittadini, più disposti ad assecondare le richieste di quei criminali che sono corsi in loro soccorso che di un governo che li ha abbandonati. E allora sarà dura pensare di iniziare a combattere sul serio i cartelli. Sarà dura pensare di riaffermare il potere statale dove ora c’è un vuoto disarmante che solo i narcos riescono a colmare.

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