Questo non è amore


A chi trova se stesso nel proprio coraggio
A chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio
A chi lotta da sempre e sopporta il dolore,
Qui nessuno è diverso, nessuno è migliore.
A chi ha perso tutto e riparte da zero
Perché niente finisce quando vivi davvero.
A chi resta da solo, abbracciato al silenzio
A chi dona l’amore che ha dentro
-Fiorella Mannoia-
L’Italia non è un paese per donne, lo dicono i numeri. Dal 2000 ad oggi sono state oltre 3.200 le vittime di femminicidio in Italia, 94 solamente nei primi 10 mesi di quest’anno: ogni 72 ore, nel nostro paese, una donna viene uccisa in contesti familiari o amorosi. Ma il femminicidio non è che l’immagine più drastica e drammatica di un fenomeno più ampio e sommerso fatto di abusi e prepotenze. Si tratta di una vera e propria emergenza che coinvolge tutto il paese, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia.

Oltre alle violenze, però, c’è anche un gesto ancora più estremo. L’espressione femminicidio, coniata di recente per eliminare il termine “omicidio passionale” che quasi giustificava l’aggressore, può essere attribuita ai soli casi di commissione di un atto criminale estremo che porti all’omicidio, perpetrato in danno della donna “in ragione proprio del suo genere”. Negli ultimi 10 anni, infatti, i casi di femminicidio sono rimasti pressoché stabili ma quello che sembrerebbe essere un dato positivo diventa ancor più sinistro a fronte del fatto che, nello stesso periodo, gli omicidi con vittime di sesso maschile sono diminuiti del 50 per cento. Come per le violenze, anche nel caso estremo del femminicidio il responsabile è la persona che dice di amare. Nel 60% dei casi l’omicidio è commesso dal partner o dall’ex partner, uomini con un’idea malata di amore accecati da una gelosia incontrollabili ed incapaci di accettare le decisioni prese dalla partner.
Ma in quello che appare come un quadro sempre più drammatico e preoccupante arriva, da questi dati, un piccolo barlume di speranza. Una nuova consapevolezza e determinazione delle donne. Una maggiore coscienza dei delitti subiti, una rinnovata propensione e fiducia nel denunciare quanto accaduto. Crescono infatti le donne che hanno il coraggio e la forza di dire basta alle violenze e di denunciare i loro carnefici alle forze dell’ordine.

Tra le novità più importanti, è previsto una velocizzazione per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati tra cui i maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale, con l’effetto che saranno adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime. La legge prevede, infatti, che i pubblici ministeri ascoltino chi ha presentato una denuncia per maltrattamenti o violenza in famiglia entro massimo tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, che avviene nel momento stesso in cui una persona si presenta alla polizia. Se i magistrati dovessero confermare le violenze hanno la possibilità di condannare il responsabile a una pena detentiva tra i tre e i sette anni con la possibilità di aumentare del 50% la pena se il reato viene compiuto in presenza di un bambino, un disabile o se l’aggressione è stata armata.
Con la nuova legge sono inoltre state aggiunte 4 fattispecie di reato. La prima, e più innovativa, è quella che riguarda il cosiddetto “revenge porn”, ovvero la pubblicazione e diffusione di materiale privato con contenuto sessualmente esplicito senza il consenso della persona ritratta. Un meccanismo crudele che spesso scatta dopo una rottura provocando inestimabili danni all’altro soggetto, solitamente donna. Come è accaduto nel caso, tristemente noto, di Tiziana Cantone, ragazza napoletana che si tolse la vita nel 2016 dopo che il proprio ex fidanzato aveva diffuso online un filmato privato a sfondo sessuale che la ritraeva. Le pene sono, anche in questo caso, severe e prevedono la reclusione per un minimo di un anno fino a un massimo di 6. Il legislatore ha inoltre previsto ammende anche per chi contribuisca alla diffusione del video ricaricandolo o condividendolo ed un aumento della pena se il responsabile è il coniuge o l’ex partner. Proprio la mamma di Tiziana aveva accolto entusiasta questa modifica del codice: “mi piace pensare” aveva detto “che Tiziana in questo momento ovunque si trovi stia sorridendo”.
Tra le altre innovazioni introdotte con il “codice rosso” vi è la previsione di pene severe per chi sfregia una persona sul viso deformandone l’aspetto come nei casi, purtroppo noti alle cronache, di aggressioni con l’acido. Se la vittima sopravvive all’aggressione, il responsabile può essere punito con la reclusione da 8 a quattordici anni. Se la vittima dovesse perdere la vita, invece, la pena è l’ergastolo. Una posizione forte e decisa quella del governo su questo tema che però ha sollevato alcune perplessità tra cui quella di Lucia Annibali. La donna, sfregiata con l’acido su ordine del compagno e ora deputata del gruppo “Italia Viva”, ha lamentato i limiti di questo provvedimento: “sul piano della tecnica normativa” ha commentato in un’intervista “sembra si dica che alcuni tipi di lesioni sono più importanti di altri che magari hanno una eco mediatica inferiore e dunque vengono considerati meno rilevanti”.
