La Cina spegne il sogno di Hong Kong

May people reign
proud and free
now and evermore
glory to be thee Hong Kong
Per mesi è rimasta alla finestra ad osservare da spettatrice le proteste che hanno messo a ferro e fuoco Hong Kong. Per settimane si sono rincorse voci di un possibile intervento armato per reprimere nel sangue le proteste. Ora, la Cina ha deciso di passare al contrattacco. Con una nuova legge sulla “Sicurezza Nazionale” Pechino punta ad ingabbiare Hong Kong per ricondurlo lentamente sotto la propria influenza eliminando quell’“alto grado di autonomia” su cui si basa l’ex colonia britannica.

Legge – L’annuncio di una legge per Hong Kong è arrivato, improvviso e inaspettato, durante la terza sessione del 13° “National People Congress”, l’assemblea parlamentare cinese che si riunisce annualmente per indicare la rotta politica cinese. Un annuncio, però, che rappresenta una grave intromissione della Cina negli affari interni della ex colonia che, come sancito dalla costituzione, dovrebbero essere gestiti in maniera esclusiva dagli organi politici di Hong Kong. Proprio per questo ai vertici di Pechino è corsa in soccorso la governatrice Carrie Lam, massima carica politica e principale bersaglio delle proteste degli ultimi mesi, che si è detta in queste ultime ore pronta a collaborare “pienamente con il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo per completare al più presto la legislazione pertinente”. In questo modo, formalmente la legge verrà votata nel parlamento di Hong Kong nel rispetto della costituzione. Poco importa se, dietro quella norma, vi sia la mano nemmeno troppo invisibile di Pechino.
“È necessario stabilire e migliorare il sistema giuridico e i suoi meccanismi di applicazione per salvaguardare la sicurezza nazionale Hong Kong. Per prevenire, fermare e punire le minacce alla sovranità.” Se i dettagli della Legge non sono ancora definiti le parole di Wang Chen, vicepresidente del Comitato permanente del National People’s Congress, spiegano alla perfezione quale sia l’intento cinese. Un intervento deciso e netto da parte della Cina per limitare ogni forma di dissenso nell’ex colonia. Con la nuova legge sulla Sicurezza Nazionale, Pechino si aprirebbe di fatto le porte di Hong Kong estendendo all’ex colonia britannica forme più o meno stringenti di repressione. Tra le misure più controverse vi sarebbe infatti l’apertura di un ufficio a tutela della sicurezza nazionale completamente dipendente da Pechino che avrebbe il compito di intervenire ogniqualvolta si verifichino tentativi di secessione, eversione contro lo Stato, terrorismo e interferenze straniere. Se ora per un intervento diretto della Cina sul territorio di Hong Kong è necessaria una specifica autorizzazione da parte del parlamento dell’ex colonia, con la nuova legge Pechino si aprirebbe un varco importante che gli permetterebbe di intervenire a proprio piacimento sul territorio di quella che appare sempre meno come una provincia con “alto grado di autonomia”.

Critiche – La sola proposta di una legge simile, che nelle intenzioni di Carrie Lam potrebbe essere promulgata entro settembre, ha scatenato critiche e timori. Il volto duro e risoluto del Partito Comunista Cinese si mostra ora in tutta la forza, senza alcun timore ne tentativo di mascherarsi, con un provvedimento che potrebbe porre fine non solo ai sogni di una maggior democrazia ma anche al modello “un paese, due sistemi”. Con l’apertura di un ufficio alle dipendenze di Pechino, il governo cinese potrà di fatto colpire liberamente gli oppositori anche ad Hong Kong interpretando in modo ampio e contorto il concetto vago di Sicurezza Nazionale. Storpiandolo per ricondurlo alle proprie necessità quel concetto sarà utilizzato per colpire i diritti e le libertà dei cittadini reprimendo ogni forma di protesta e dissenso per evitare che si possano ripetere manifestazioni anti-Cina come quelle che più volte si sono viste negli ultimi 10 anni.
Questa imposizione unilaterale di una legge che rischia di mettere a repentaglio le libertà di Hong Kong è un assalto frontale e pericoloso all’autonomia, allo stato di diritto e alla libertà dell’ex colonia. Un provvedimento che potrà avere ricadute pesantissime anche sull’economia della città. L’immagine di Hong Kong come città aperta, libera e internazionale potrebbe infatti subire un duro colpo e la sua sottomissione al regime cinese potrebbe allontanare investitori esteri e visitatori. Timori confermati anche dall’andamento delle borse con il mercato di Hong Kong che venerdì, dopo l’annuncio della legge sulla sicurezza nazionale, ha ottenuto il suo peggior risultato da oltre cinque anni perdendo il 5,6%. Nel frattempo, però, fatica a sollevarsi dal resto del mondo un coro di condanna unanime al governo cinese. Se un gruppo di 200 parlamentari di 23 paesi diversi ha pubblicato un appello in cui condanna duramente la mossa di Pechino, le reazioni dei leader mondiali sono state timide e marginali. Il ruolo giocato dalla Cina come potenza economica e politica negli equilibri mondiali rappresenta sicuramente uno scoglio importante che spinge molti ad evitare interventi affrettati o duri per non compromettere i rapporti con Pechino. La prima reazione è stata quella di Donald Trump che, senza specificarne le modalità, ha spiegato di voler affrontare “la questione in maniera decisa” dicendosi pronto a porre fine allo status economico speciale che permette commerci più semplici tra gli Usa e la ex colonia, non sottoposta ai dazi imposti alla Cina. Ma mentre Hong Kong rischia di diventare un semplice pedone sulla scacchiera di una nuova guerra fredda tra Pechino e Washington, a pagarne le conseguenze saranno gli abitanti di Hong Kong. La Cina sembra pronta a muovere la sua regina per mettere sotto scacco il re degli Stati Uniti. Ma per farlo deve mangiare quel pedone che non può fare passi indietro.

Proteste – E di passi indietro, ad Hong Kong non se ne fanno da quasi un anno. Da quando sono iniziate le proteste nel maggio scorso la rabbia è divampata in città e milioni di persone hanno manifestato la loro contrarietà prima al disegno di legge sull’estradizione poi all’intero sistema. La nuova proposta di legge potrebbe dare nuova linfa ad un movimento rimasto silenzioso per mesi a causa dell’emergenza sanitaria. Qualche centinaio di manifestanti si è radunato nelle ultime ore nelle strade di Hong Kong costringendo la polizia ad intervenire con cariche e gas lacrimogeni. È una prima risposta della città al tentativo cinese di incatenarla ma nessuno sembra intenzionato a fermarsi e tutto sembra indicare la ripresa di proteste massicce e di ulteriori scontri in città. Lo sanno gli organizzatori con il Civil Human Rights Front, che ha organizzato marce con oltre un milione di persone lo scorso anno, che si dice pronto a riprendere la battaglia dalle prossime settimane. Ma lo sa anche la Cina che, secondo alcune indiscrezioni, sarebbe pronta a tollerare una nuova breve stagione di proteste se ad esse seguirà la promulgazione della legge che sottometterà Hong Kong. Se, insomma, lo scorso anno le proteste avevano portato al ritiro della legge sull’estradizione, questa volta la Cina sembra più determinata che mai ad andare avanti anche a costo di una nuova escalation di violenza come quella che si è registrata in autunno. E in quello che il legislatore democratico Tanya Chan ha definito come “il giorno più triste nella storia di Hong Kong”, il leader delle proteste Joshua Wong ha esortato gli “HongKongers” a non piegarsi alla rappresaglia cinese. Chiedendo l’aiuto del mondo in questa battaglia ha ricordato in un tweet che “ogni HongKongers ne è ben consapevole: non lottiamo perché pensiamo di essere più forti, lottiamo perché non c’è altra soluzione”.
Un’altra soluzione, forse, l’avrebbe la Cina. Nella piccola Hong Kong il Partito Comunista Cinese ha un’opportunità unica per mostrare al mondo che è abbastanza forte e maturo da ospitare un’isola di libertà all’interno dei suoi confini sovrani. Un’isola influenzata certo da Pechino ma non succube ad un regime totalitario. Ma di fronte alle richieste democratiche di quell’isola felice, il regime cinese si è scoperto fragile. Spaventato da una sfida così grande mostra ora tutte le sue debolezze tornando al solo strumento che conosce per mantenere il controllo della situazione: la repressione. Ma chi ad Hong Kong ha assaggiato la libertà di un paese quasi democratico non può tollerare il controllo e la repressione di un regime totalitario. Chi chiede democrazia non può tollerare la dittatura. Sono i giovani che si ribellano per un futuro fatto di diritti. Non per un capriccio ma perché “non c’è altra soluzione”.