Monthly Archives: febbraio 2022

È guerra in Europa: la situazione, gli equilibri e l’utilità delle sanzioni dell’occidente

L’offensiva russa in Ucraina, partita nella notte, costringe l’occidente ad una reazione. Ma mentre gli alleati della Russia sembrano pronti a fornire un sostegno concreto a Putin, USA e Stati Uniti continuano sulla strada delle sanzioni. Ma a farne le spese potrebbe essere proprio l’occidente.

Alle prime luci dell’alba, le 4 di notte in Italia, si concretizza lo scenario più drammatico che si potesse immaginare. Vladimir Putin tiene un discorso alla nazione in cui annuncia l’avvio di “un’operazione militare speciale” con l’obiettivo di “smilitarizzare e denazificare l’Ucraina”. Poi avvisa il resto del mondo: “Chiunque cerchi di interferire con noi, e peggio di creare minacce per il nostro paese, il nostro popolo” ha detto Putin”deve sapere che la risposta della Russia sarà immediata e vi porterà a conseguenze come non le avete mai sperimentate nella storia”. Quasi in contemporanea con l’annuncio a Kiev iniziano a suonare gli allarmi. Cinque grosse esplosioni si sentono nella capitale e svegliano la popolazione. E poi via via nel resto del paese la situazione precipita. I bombardamenti su Odessa, Kharkiv e Mariupol sono la conferma che l’attacco su larga scala è iniziato.

Le notizie che arrivano dall’Ucraina per tutto il giorno sono frammentate e discordanti, come logico che sia all’inizio di un nuovo conflitto. La cronaca della guerra è fredda e cruente. Prima i bombardamenti su obiettivi militari e civili, come l’aeroporto di Hostomel a 35 km dalla capitale. Poi l’attacco via terra lungo i confini con le troppe russe che sarebbero penetrate per diversi km in territorio ucraino da sud già in mattinata mentre forti scontri si registrano a nord dove l’esercito russo tenta di sfondare per raggiungere Kiev. Sono i primi passi di una vera e propria invasione, che durerà «per il tempo necessario», ha annunciato il Cremlino. Nel pomeriggio il primo bilancio era di almeno 50 soldati ucraini uccisi e “decine di civili” fra le vittime.

Ma mentre Putin ripete che non si tratta di una guerra e che la Russia non intende invadere l’Ucraina, il resto del mondo condanna quasi in blocco la mossa del Cremlino che ha spezzato all’improvviso ogni tentativo diplomatico. Lo scoppio del conflitto, che pure era ampiamente previsto, sembra aver colto di sorpresa il mondo occidentale che ora si interroga su quale possa essere la risposta più efficace all’attacco russo. L’Unione Europea sembra intenzionata a proseguire sulla strada delle sanzioni con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha condannato duramente “questo attacco barbaro” annunciando un “pacchetto di sanzioni massicce e mirate” con le quali verranno colpiti “settori strategici dell’economia russa”: sarà bloccato l’accesso a tecnologie e mercati che sono fondamentali per la Russia con l’obiettivo di “indebolire la base economica della Russia e la sua capacità di modernizzazione”. Se dal punto di vista militare l’Unione Europea non può muoversi, possono farlo gli stati membri che al momento non sembrano però intenzionati a correre in soccorso di Kyev. Ungheria e Germania hanno anzi già fatto sapere di non voler fornire armi o altri aiuti militari all’Ucraina. La Nato, dal canto suo, ha iniziato a mobilitare le sue truppe annunciandone lo spostamento verso i confini dell’Ucraina per proteggere i confini dell’Alleanza Atlantica e monitorare il conflitto senza, al momento, prevedere un intervento diretto. La stessa strategia stanno seguendo gli Stati Uniti che già nei giorni scorsi avevano iniziato a spostare le proprie truppe verso est per essere pronti ad un eventuale intervento che, per il momento, non è però previsto mentre il presidente Biden tenta la via diplomatica e torna a minacciare ulteriori sanzioni.

Sostegno alla Russia arriva invece dagli alleati storici. Il leader bielorusso Lukashenko, che inizialmente aveva smentito ogni possibile partecipazione, ha annunciato che “qualora fosse necessario le truppe bielorusse sono pronte ad intervenire”. Ma se l’intervento diretto ancora non c’è stato, quello indiretto è già in corso e proprio dalla Bielorussia questa mattina una lunga colonna di uomini e mezzi ha varcato il confine con l’Ucraina per puntare verso Kiev. Appoggio a Mosca, anche se in misura minore, arriva anche dalla Cina che non solo non ha condannato l’attacco rifiutandosi ufficialmente di parlare di “invasione” ma ha anche criticato l’occidente per aver fornito armamenti all’Ucraina.

I servizi di sicurezza occidentali, che finora hanno predetto accuratamente il corso degli eventi, ritengono che Putin intenda rovesciare il governo ucraino e insediare al suo posto un regime fantoccio. Questa strategia di “decapitazione” coinvolgerà non solo il governo centrale, ma anche i governi regionali e locali. Sono state compilate liste di funzionari ucraini che saranno arrestati o uccisi. L’esercito ucraino è determinato a reagire. Ma è probabile che si trovi pesantemente sconfitto. L’obiettivo russo potrebbe essere circondare Kiev e forzare il crollo o le dimissioni del governo ucraino, guidato da Volodymyr Zelenskij. Difficile pensare che le sanzioni opposte dall’occidente, per quanto pesanti e in grado di piegare l’economia russa, possano distogliere Putin dal suo obiettivo ed è anzi possibile che tali misure possano avere gravi conseguenze su chi quelle sanzioni le sta imponendo.

Se la Russia interromperà le forniture di gas all’Europa, infatti, i consumatori e l’industria ne risentiranno gravemente. Gli effetti diretti si faranno sentire maggiormente nei paesi che dipendono di più dal gas russo, in particolare la Germania e l’Italia che proprio dalla Russia ottiene il 45% del gas importato. Le sanzioni alla Russia, insomma, potrebbero ritorcersi facilmente contro l’occidente che rischia di precipitare in un vortice di inflazione e recessione. E in tal caso, a pagarne le conseguenze potrebbero essere i leader europei, più vulnerabili all’opinione pubblica rispetto all’oligarca russo. A ciò si aggiunge la pressione sui governi occidentali che dovranno rispondere in modo adeguato e tempestivo alla nuova ondata di profughi, oltre cinque milioni secondo le prime stime, che arriveranno dall’Ucraina e che potrebbero mettere in difficoltà l’Unione Europea, sempre divisa su questo tema. 

La situazione, dunque, è delicata e complessa ma l’iniziativa resta nelle mani di Putin che sembra avere tutto l’interesse per proseguire con la sua azione in Ucraina. Nelle prossime settimane, però, sarà necessario agire con forza e determinazione per contenere quanto possibile questo conflitto.

Politici corrotti, ‘ndrangheta e Vaticano: i clienti segreti (e protetti) di Credit Suisse

Politici corrotti, narcotrafficanti e trafficanti di uomini, l’Obolo del papa destinato alle opere pie accanto a medi e grandi evasori italiani e delinquenti, anche in odore di ‘ndrangheta. Sono solo alcuni dei personaggi che hanno conti nel secondo istituto bancario svizzero.

Il sistema bancario svizzero torna a tremare. Nel mirino è finito il colosso “Credit Suisse”, secondo istituto bancario del paese coinvolto in una inchiesta giornalistica dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project, consorzio di 47 testate internazionali che collaborano alla realizzazione di inchieste e reportage, che ha portato alla luce l’opacità della banca. Il lavoro di inchiesta, durato oltre un anno e nato da una segnalazione anonima, ha riguardato 18.000 conti correnti riconducibili a circa 30.000 correntisti per un patrimonio totale di 88 miliardi di euro. 

Quanto emerge dall’inchiesta è sostanzialmente la totale opacità dell’istituto svizzero che, nonostante vent’anni di proclami sulla trasparenza, continua ad ospitare conti di soggetti non propriamente immacolati. E non solo. Proprio a quei correntisti, con conti milionari, l’istituto avrebbe garantito privilegi speciali permettendogli di godere di regole diverse da quelle previste per tutti gli altri. L’inchiesta rivela dunque un secondo aspetto inquietante: nonostante il segreto bancario sia formalmente archiviato, la “cultura della segretezza” e la legge bancaria svizzera difendono ancora i patrimoni di chi possiede un conto sostanzioso presso una banca svizzera. E tra chi possiede un conto alla Credite Suisse, a quanto emerge dall’inchiesta, emergono figure di una certa caratura criminale: dal generale algerino che ha guidato le torture durante la guerra civile all’imprenditore dello Zimbabwe noto come “il Napoleone d’Africa” accusato di sottrazione di fondi pubblici, corruzione, evasione e finanziamento del conflitto in Repubblica Democratica del Congo. Da Pavlo Lazarenko, ex premier ucraino condannato per riciclaggio negli Stati Uniti, a Honsi Mubarak figlio del dittatore egiziano. Ma nell’elenco dei soggetti te non mancano i correntisti italiani. Sarebbero 700 gli italiani con conti alla Credit Suisse. Non tutti criminali, ovviamente, ma tra di loro molti avrebbero goduto del trattamento di favore riservato ai migliori clienti dell’isituto.  

Tra i nomi italiani presente in questo gruppo “La Stampa”, parte dell’OCCRP, cita l’imprenditore Mario Merello, residente in Venezuela e marito della cantante Marcella Bella. Secondo la procura di Milano Merello era a capo di un’organizzazione a delinquere che avrebbe frodato al fisco italiano circa 450 milioni di euro. Presso Credit Suisse Merello deteneva 13 conti, oggi chiusi. Tra i clienti del gruppo svizzero anche Antonio Velardo a cui si sono interessate almeno due procure per i possibili legami tra le sue attività e i soldi delle Ndrine della costa jonica calabrese. Nella lista dei clienti privilegiati compare poi l’Obolo di San Pietro, dove finiscono le donazioni raccolte dal Vaticano. Tramite questo conto sono state gestite le operazioni che hanno portato all’acquisto dell’immobile londinese in Sloane Avenue oggi al centro di un procedimento nei confronti del cardinale Angelo Becciu.

Non si tratta del primo scandalo che coinvolge Credit Suisse, già travolta in passato da polemiche per la presenza di conti correnti collegati a criminali. Si tratta però di un’inchiesta che porta alla luce un sistema distorto che, nonostante proclami in senso opposto, continua ad esistere rendendo la Svizzera un paradiso bancario per medi e grandi evasori. Come sottolineato da “IrpiMedia” questa inchiesta rivela almeno due aspetti inquietanti: da un lato, nonostante il segreto bancario non sia più un dogma indiscusso, la cultura e la legge bancaria svizzera difendono ancora i patrimoni nascosti in quel paese, dall’altro i clienti più a rischio, lungi dall’essere analizzati più a fondo, beneficiano di un’attenzione particolare e i loro conti sono gestiti esclusivamente da un’elite all’interno della banca stessa.

Cosa chiedono gli studenti che protestano da settimane

Scuole occupate a ripetizione in tutta Italia e manifestazioni continue e sempre più partecipate. Il mondo della scuola è in subbuglio e gli studenti sono tornati in piazza come non succedeva da tempo. Le questioni sul tavolo sono complesse e delicate ma i ragazzi vogliono risposte.

La scuola italiana è in rivolta. Da settimane negli istituti di tutto il paese si susseguono occupazioni, autogestioni e proteste degli studenti. A Milano nei giorni scorsi è toccato ai licei Bottoni e Parini, a una settimana dalle occupazioni di Carducci, Beccaria e Vittorio Veneto. Tra Torino e provincia sono una trentina le scuole toccate in varie forme dalla protesta. E lo stesso accade in tutta Italia in vista della grande mobilitazione studentesca prevista per questo venerdì che già ha alimentato le preoccupazioni del Viminale per il timore che possano registrarsi episodi di violenza. In mattinata il capo di gabinetto del Ministero dell’Interno, Bruno Frattasi, ha diramato una circolare ai prefetti per chiedere l’apertura di “canale preventivo di dialogo con gli organizzatori delle manifestazioni” sottolineando come il coinvolgimento dei dirigenti scolastici appaia necessario “in considerazione della delicatezza delle tematiche sollevate dal mondo studentesco e della correlata esigenza che ad essa corrisponda una sensibile capacità di ascolto e mediazione”.

I motivi delle proteste, che ormai proseguono a ritmo serrato, sono diversi e nascono dalla volontà degli studenti di far sentire la propria voce e denunciare quel che non funziona nella scuola pubblica italiana. A dare il via alla nuova ondata di manifestazioni, che segue quella dello scorso dicembre con le continue occupazioni dei licei della Capitale, è stato l’annuncio da parte del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi del ripristino dell’esame di maturità tradizionale dopo l’interruzione causata dalla pandemia. Un esame che, secondo gli studenti, non terrebbe conto dei due anni, distribuiti su tre anni scolastici, in cui la pandemia ha costretto per lunghi periodi le classi a svolgere le lezioni con la didattica a distanza (DAD), con inevitabili conseguenze sulla loro preparazione. Un rifiuto che non nasce, come invece vuol far credere chi cerca di screditare le proteste studentesche, dalla negligenza di ragazzi che non vogliono faticare per superare l’esame. Nasce invece dalla crisi pedagogica innescata da una pandemia che ha avuto ripercussioni pesanti sulla salute psicologica dei giovani innescando un effetto domino che ha finito per influenzare non poco la loro preparazione scolastica. Come emerso da diversi studi, infatti, le limitazioni alla socialità e i lunghi periodi di isolamento hanno provocato un significativo aumento di ansia e depressione nelle persone tra 12 e 18 anni. Se a ciò si aggiunge la discontinuità delle lezioni, continuamente interrotte dall’alternanza presenza-remoto, si ottiene una vera e propria crisi pedagogica che trova riscontro proprio nelle prove scritte. Studenti e studentesse hanno di fatto accumulato ritardi e problemi nel loro percorso di studi con la conseguenza che l’esame di maturità tradizionale viene giudicato «inarrivabile» e inadatto a valutare un percorso scolastico così accidentato. Motivazioni più volte ribadite nel corso degli ultimi mesi dagli studenti a cui il ministro Bianchi, nonostante le sue dichiarazioni di un’apertura al dialogo, non ha dato ascolto rifiutando nei fatti ogni confronto. Così come non sembra intenzionato a dare ascolto al Consiglio superiore della pubblica istruzione, organo del suo ministero, che lunedì si è espresso sul tema evidenziando che sarebbe opportuno svolgere l’esame di maturità secondo le modalità dello scorso anno, per “consentire di valorizzare il percorso scolastico di tutti e di ciascuno, facendo emergere le esperienze vissute e le competenze acquisite”. La proposta degli studenti, che trova un appoggio ampio nel mondo della scuola, è quella di un ritorno ad una maturità “light” con solo una prova orale come accaduto nei due anni passati o in alternativa una modifica al sistema di valutazione in modo da far pesare maggiormente il percorso scolastico del triennio rispetto alle prove scritte e orali. 

Ma se sulla maturità si è ancora in attesa di una decisione definitiva e dunque tutto resta ancora da definire, anche se gli spazi per il dialogo sembrano essere minimi, c’è un altro tema che sta muovendo gli studenti e su cui sembra possibile l’apertura di un tavolo con il ministero. È il tema dell’alternanza scuola lavoro, sempre osteggiata dagli studenti ed ora diventata un caso dopo la morte di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci deceduti durante le ore di stage in aziende. Già a gennaio il ministro Bianchi aveva definito l’alternanza un modello ormai superato e dunque da rivedere e si era detto disposto a dialogare con gli studenti e le studentesse per immaginare una riforma del progetto volta a garantire maggiori tutele. Un dialogo che, ad un mese dalla morte di Lorenzo, ancora non è stato avviato provocando sconforto e rabbia nei giovani. “Noi non contestiamo il rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro che è necessario così come l’apertura al territorio” ha dichiarato a Repubblica il coordinatore della Rete studenti Medi, Tommaso Biancuzzi “Ma deve essere rivisto radicalmente perché non si può accettare di esporre gli studenti a un mercato del lavoro che conta 1.400 morti all’anno. Va bene che si lavori col ministro Orlando, come annunciato si passi ai fatti però”. Il punto della questione è naturalmente legato alla sicurezza, ma gli studenti mettono in discussione anche l’effettiva utilità di queste prime esperienze lavorative: «Non possiamo avere studenti impiegati a fare fotocopie o caffè: è umiliante. Deve essere uno strumento didattico, una forma di insegnamento fuori dalle aule”.

I temi sul tavolo, insomma, sono complessi e delicati. Ciò che è evidente, però, è che gli studenti hanno ritrovato una forza ed una centralità che mancava da anni. Le continue mobilitazioni e l’ondata di occupazioni di questi giorni stanno certamente servendo ad accendere un riflettore sulla scuola che, si spera, possa portare a un nuovo modello di istruzione nel nostro paese. “Venerdì saremo marea” annunciano studenti e studentesse in tutta Italia. Una marea che vuole studiare, e vuole farlo in sicurezza e nelle migliori condizioni possibili. Una marea che va ascoltata e non manganellata nelle piazze. Perché solo così si può costruire il futuro. 

La tutela dell’ambiente entra nella costituzione: cosa e come cambia.

Martedì la Camera ha approvato alla quasi unanimità la legge costituzionale che modifica gli articoli 9 e 41 inserendo per la prima volta l’ambiente e la sua tutela nel testo della nostra Costituzione. Un passo in avanti che potrebbe però rivelarsi solo di facciata. 

Con la firma apposta ieri da Sergio Mattarella entra in vigore ufficialmente la modifica costituzionale approvata martedì dalla Camera dei deputati con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti. Un passaggio formale, quello della firma del Capo dello Stato, che assume un significato fortemente simbolico rappresentando il momento esatto in cui la tutela dell’ambiente entra per la prima volta nella nostra Costituzione. Il testo approvato martedì alla Camera, che già aveva ricevuto l’ok del Senato a novembre, modifica infatti gli articoli 9 e 41 della carta costituzionale inserendo per la prima volta in modo esplicito riferimenti all’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi.

Articolo 9

Prima

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione

Ora

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali

La modifica dell’art. 9 assume un significato particolarmente rilevante, non solo perché per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana viene modificato uno dei primi 12 articoli della costituzione ma anche e soprattutto perché l’ambiente e la sua tutela entrano di fatto tra i principi fondamentali e fondanti del nostro paese. Con la nuova formulazione dell’art. 9, infatti, per la prima volta compare la parola “ambiente” nel testo sostituendo la “tutela del paesaggio” inserita originariamente dai padri costituenti. Una modifica non solo simbolica e formale ma che potrebbe rivelarsi particolarmente importante nell’indirizzare l’attività legislativa e giuridica. Citare esplicitamente l’ambiente e le sue componenti ed elevarne la tutela a rango costituzionale, infatti, permette di eliminare ogni ambiguità e di considerarlo per la prima volta un valore primario costituzionalmente protetto. A ciò si aggiunge il fatto che, in una formulazione totalmente inedita per la carta costituzionale, tale tutela è rivolta “alle future generazioni.

Articolo 41

Prima

 
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali

Ora

L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge controlla i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali

Con la modifica all’art. 41, invece, il legislatore ha voluto ampliare i casi in cui si limita l’iniziativa economica inserendo l’ambiente tra i beni da tutelare. Anche la posizione della parola “ambiente” nel nuovo testo non è casuale essendo stata inserita, non al termine dei limiti già presenti, ma al secondo posto dando così attuazione immediata al nuovo art. 9 che pone l’ambiente tra i valori fondamentali. A ciò si aggiunge che la destinazione e il coordinamento dell’attività economica pubblica e privata avvengono non solo per fini sociali ma anche per fini ambientali.

Se la modifica costituzionale porta l’Italia ad allinearsi con gli altri paesi europei diventando il ventiduesimo stato dell’Unione ad aver inserito tematiche ambientali nella propria carta fondamentale, è inevitabile chiedersi quale valore e impatto pratico avranno queste modifiche. Mentre politici di ogni parte esultano ed il ministro Cingolani parla di “una giornata storica per il Paese che sceglie la via della sostenibilità e della resilienza nell’interesse delle future generazioni”, è impossibile non notare come gli stessi abbiano fino ad ora disatteso ogni aspettativa in tema ambientale e di transizione ecologica. Nessuno stop alle estrazioni petrolifere, sempre maggior spinta sul gas, pochi investimenti sulle rinnovabili e un occhio di riguardo sempre pronto per colossi altamente inquinanti come ENI e Snam. Quel che si auspica è che questa ispiri realmente le future mosse legislative. Certo è che l’inserimento di nozioni ecologiche, come biodiversità ed ecosistemi, nella principale fonte del diritto, conferma quantomeno una nuova visione socioculturale.

Stai andando bene Giovanni. Ode a Truppi e al suo Sanremo

Nel Festival degli eccessi dominato da look estremi, “Papalina” e “Fantasanremo”, c’è un artista che ha portato sul palco nient’altro che se stesso. Giovanni Truppi e la sua musica troppo spesso non sono stati capiti ma hanno regalato emozioni.

“Stai andando bene Giovanni, dai che ce la puoi fare” canta Truppi in uno dei suoi brani. Stai andando bene Giovanni. Ed è proprio così. Giovanni Truppi ha portato sé stesso sul palco dell’Ariston contro tutto e contro tutti. Contro le critiche del web che per una settimana ha sottolineato quella sua timidezza, quel suo modo di vestire così lontano dai canoni di un Festival in cui gli eccessi sono diventati la regola. Contro un Amadeus che nella serata finale ha provato in ogni modo, senza riuscirci, a farlo uscire da quei binari rincarando la dose su un look sempre uguale a sé stesso ma unico e potente come mai. Perché quello è Giovanni Truppi. Ed è stato proprio lui a spiegarlo a tutti una volta per tutte: “Io mi esibisco con la canotta da quando sono ragazzo, e perché cambiare adesso”. Come a dire “io sono questo, e su questo palco voglio portare me stesso”. E su quel palco, Giovanni, ha portato sé stesso per davvero.

Nato a Napoli nel 1981, a sette anni inizia suonare muovendo i primi passi in un mondo che non lascerà mai diventando con il tempo polistrumentista, cantante ed autore. Ad oggi Giovanni Truppi è uno degli artisti più completi del panorama italiano, con le radici ben salde nella tradizione del cantautorato italiano degli anni ’70. Da De Andrè, non a caso portato sul palco dell’Ariston nella serata delle cover, a Conte e Battiato. La musica di Truppi rimanda a tempi lontani con testi profondi che alternano il cantato al parlato con un’armonia antica che sa di tradizione. A 40 anni ha già all’attivo cinque album, uno più bello dell’atro, di ispirazione romantica, personale. Intima. Con una qualità sopraffina e melodie da club Tenco Giovanni Truppi descrive il suo mondo a modo suo. Un modo quasi fatato che accompagna chi lo ascolta a scoprirne gli angoli più profondi e ad accarezzare sensazioni uniche. Quello di Truppi è un cantautorato così lontano da derive moderne da essere senza tempo. E per questo, forse, non capito.

Non capito da quel pubblico che per giorni ha criticato una canottiera senza, troppo spesso, capire la profondità di un testo che fa emozionare. Una canzone d’amore sincera e ricca di chiaroscuri, scritta con Niccolò Contessa de I Cani, Pacifico, Marco Buccelli e Giovanni Pallotti. Una canzone che parla di lui, della sua vita. Una dichiarazione d’amore unica e profonda alla moglie e alla figlia Lucia. Perché è da li che devono nascere le canzoni, dall’esperienza di ciascuno. E lo ha spiegato benissimo lo stesso Truppi in un’intervista a Fanpage: “La vedo come una canzone in connessione con le cose che ho scritto e sicuramente è legata all’avanzamento della mia età, ma in senso buono, faccio esperienze e mi incuriosiscono cose diverse e nuove.” E dalla sua esperienza Giovanni ha pescato sempre, anche in una serata cover in cui coraggiosamente ha deciso di portare sul palco uno dei brani più belli di Fabrizio de Andrè. Con un gigante della musica come Vinicio Capossela al suo fianco, Truppi è rimasto sé stesso. Con una canotta rossa il un cuore anarchico di Goliardo Fiaschi puntato sul petto ha reinterpretato in maniera sublime il testo di Faber.

Nell’era degli influencer lo spazio per un artista come Truppi, insomma, sembra risicato. E lo dimostra una classifica ingrata al termine del’ultima serata. Ma la sua musica rimane uno dei gioielli più preziosi di questa edizione del Festival. Per cui non ti preoccupare: “Stai andando bene, Giovanni”.