Con i nomadi digitali l’Italia rischia di sprecare un’occasione d’oro
Entro il 2035 nel mondo ci saranno circa un miliardo di nomadi digitali che, muniti di un computer e una buona connessione, lavoreranno dai posti più disparati spostandosi da un paese all’altro. Mentre nel mondo ci si prepara a favorire questo fenomeno, l’Italia sembra essere un passo indietro.

Con l’evoluzione della tecnologia si è assistito a un costante incremento del numero di professioni che possono essere svolte da remoto, cioè in qualsiasi posto del globo purché si sia in possesso di due requisiti fondamentali: avere un portatile e una buona connessione a Internet. Ne abbiamo avuto una testimonianza diretta nei mesi di lockdown con milioni di italiani che si sono trovati catapultati in un modo totalmente nuovo di lavorare o studiare. Ma quella che per molti è stata solo una breve parentesi dettata dalla necessità, per alcuni è invece la quotidianità. Nel modo si va diffondendo sempre di più il fenomeno dei “nomadi digitali” che, muniti di un computer e di una buona connessione, si spostano da un paese all’altro viaggiando continuamente ma senza mai smettere di lavorare. Si tratta di una vera e propria filosofia di vita basata interamente su flessibilità, indipendenza e mobilità. Una scelta di vita che, secondo le ultime stime, coinvolgerà sempre più persone fino a raggiungere entro il 2035 circa un miliardo di nomadi digitali nel mondo. L’idea alla base di questo fenomeno è molto semplice: se per lavorare mi basta un pc e una connessione a internet perché non farlo da posti belli e stimolanti? Così i nomadi digitali cercano posti che abbiano un buon clima, umano più che meteorologico, un costo della vita basso e che possa garantire allo stesso tempo produttività del lavoro e qualità della vita. E quando ci si stanca di un posto o non lo si trova più stimolante ci si sposta alla ricerca di una nuova meta. Si migra da un posto all’altro alla ricerca di un nuovo nido digitale in cui fermarsi.
I nomadi digitali costituiscono comunità attive e creative in grado di far rifiorire il territorio rilanciandone l’economia e alimentando un ecosistema di imprenditoria e startup. In fuga dalle grandi citta e alla costante ricerca di pace e tranquillità, riescono anche a generare una ripopolazione di piccoli borghi che sembrano destinati a sparire per sempre e che, invece, trovano una nuova vita come borghi digitali. Opportunità che molti paesi europei, dalla Germania al Portogallo passando per Francia e paesi scandinavi, stanno cercando di sfruttare il più possibile. Capofila in Europa per la valorizzazione di queste comunità è l’Estonia che già dal 2014 ha introdotto la “E-Residency”, ovvero una residenza che consente agli imprenditori digitali di aprire e gestire un’azienda all’interno dell’Unione Europea online, avendo accesso a tutti i servizi che lo stato estone prevede per le imprese sul web. Una misura che ha riscosso grande successo attirando oltre 70mila persone e generando introiti per lo stato di circa 41milioni. Un successo tale, da spingere il paese baltico ad un passo ulteriore: dal 1° agosto, infatti, è stata introdotta la “Digital Nomads Visa”, uno speciale visto pensato apposta per i nomadi digitali che permetterà di vivere nel paese per un anno e di circolare liberamente nell’area Schengen.
Piccoli borghi, cultura, buon cibo e paesaggi mozzafiato. Il nostro paese sembra avere tutte le carte in regola per diventare il paradiso dei nomadi digitali e invece si ritrova ad essere un passo indietro rispetto agli altri paesi europei. Nella classifica sulla digitalizzazione dei paesi europei l’Italia è al terzultimo posto e in molti piccoli borghi, che potrebbero rinascere proprio grazie a comunità nomadi, manca addirittura la connessione a internet. A questo si aggiunge il fatto che 1200 comuni hanno difficoltà di ricezione telefonica e cinque milioni di italiani vedono addirittura con grande fatica (o non vedono affatto) i canali Rai. Sono le cosiddette “aree bianche” in cui i gestori hanno poco interesse ad intervenire e che attualmente non sono coperte da una rete internet veloce. Per quelle zone nel 2015 era stato lanciato il “Piano Aree Bianche” (o piano BUL), con l’intento di portare la banda larga a 14,7 milioni di italiani, ma tra ritardi e lockdown la sua attuazione è in ritardo di almeno un anno. Così, solamente le grandi città risultano essere competitive per connettività e informatizzazione ma i costi della vita elevata e il caos che le caratterizza respingono all’istante i nomadi digitali. Ne è un esempio Milano che sta provando ad attirali con una vasta offerta di spazi di coworking e la possibilità di connettersi praticamente ovunque ma tra affitti, stile di vita e divertimenti notturni il capoluogo lombardo si rivela troppo caro e ben poco attraente. Così l’Italia si scopre fragile e impreparata rischiando di perdere un’occasione. Perché al di là della conformazione geografica che rende il nostro paese allettante, sembra mancare tutto quello che serve per attrarre nomadi digitali. Per i lavoratori autonomi le tasse sono quasi insostenibili e gli incentivi sono pochi, la burocrazia lenta e un digital divide ancora consistente fanno il resto. In un paese in cui, secondo un recente rapporto di Legambiente, ci sono oltre 2.500 borghi rurali spopolati e molti altri che si avvicinano ad uno spopolamento totale, i nomadi digitali potrebbero rappresentare un’opportunità da cogliere al volo per valorizzare pezzi di Italia che rischiano di sparire per sempre. Servirebbe un piano più incisivo per rendere i paesi italiani più appetibili per chi si sposta continuamente alla ricerca di stimoli e tranquillità. Invece, ancora una volta, rischiamo di capire troppo tardi l’opportunità che ci si presenta davanti.