La libertà di stampa è in pericolo

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.“
– art. 21, Costituzione italiana-
La diamo per scontata. Pensiamo che sia un problema che non ci riguardi. Pensiamo che l’Italia sia un’isola felice in cui questi problemi non esistono. Ma anche da noi, la libertà di stampa è in pericolo. A dirlo sono i dati del “Word Press Freedom index 2020”, la ricerca condotta ogni anno dall’ONG “Reporters Sans Frontiers” sul livello di libertà di stampa in 180 paesi del mondo. Nella classifica di quest’anno il nostro paese è al 41° posto, dietro Ghana, Sud Africa, Burkina Faso, Botswana e Namibia. Una sola posizione più in alto della Corea del Sud.

Italia – A pesare sulla situazione nel nostro paese è la presenza di tanti, troppi giornalisti costretti a vivere sotto scorta per colpa delle minacce subite. Sono almeno 20 i giornalisti nel programma di protezione secondo quanto riportato da RSF che evidenzia come nel nostro paese quello del giornalista sia ancora troppo un lavoro pericoloso. Da Saviano a Borrometi, da Federica Angeli a Donato Ungaro fino alle ultime inquietanti e dolorose minacce all’ormai ex direttore de “la Repubblica”, Carlo Verdelli. È impossibile negare che in Italia la libertà di stampa sia minacciata costantemente da estremismi politici e criminalità organizzata. Essere “Giornalisti Giornalisti” nell’accezione data da Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, espone a rischi altissimi in un paese in cui spesso diamo per scontate le libertà che abbiamo senza accorgerci di quanto invece siano in pericolo ogni giorno. In un’Italia distratta da mille dibattiti, guardiamo al dito invece che alla luna. Guardiamo alle parole di Vittorio Feltri come estremo esempio di libertà di stampa piuttosto che a quei 25 giornalisti sotto scorta come un pericolosissimo campanello d’allarme di una libertà sempre più minacciata.
E se il rapporto si riferisce al 2019, anche quest’anno non sembra registrarsi un’inversione di tendenza anzi, il trend è stato confermato in meno di una settimana. Il 7 gennaio due giornaliste di LaPresse e Alanews sono stati aggrediti ed intimiditi da militanti di estrema destra mentre tentavano di documentare la commemorazione per la strage di Acca Larentia, a Roma. Il giornalista bresciano Federico Gervasoni continua a ricevere minacce dopo le sue inchieste sull’estrema destra da cui è nato il libro “il cuore nero della città”. Andrea Pellegrino è stato minacciato sui social dopo un articolo pubblicato qualche giorno fa sulla manifestazione indetta dall’estrema destra per il 25 aprile. E poi il caso già citato del direttore di uno dei maggiori quotidiani italiani minacciato di morte per settimane da diversi account social. Sono i cosiddetti “squadristi da tastiera” che nascosti dietro l’anonimato di finti profili social lanciano minacce ed anatemi prima di sparire nel nulla. Lasciando, per fortuna, qualche traccia che possa ricondurre a loro.

Mondo – Chi sembra non avere di questi problemi sono i paesi del nord. Come già accaduto negli ultimi anni Norvegia, Finlandia, Danimarca e Svezia ricoprono infatti i primi quattro posti della classifica stilata da RSF e sembrano essere dei paradisi del giornalismo, dove esercitare la professione liberi da pressioni e minacce. Purtroppo, però, sono dei casi più unici che rari in un mondo in cui nel 13% dei paesi la stampa si trova in una situazione definita grave, il 26% in situazione di difficoltà e il 34% presenta concreti pericoli. In Corea del Nord (180° su 180), ad esempio, “il regime totalitario continua a mantenere i propri cittadini nell’ignoranza” grazie al “controllo quasi completo sulle comunicazioni e sui file trasmessi sul web”. Non va meglio nemmeno alla Cina (177°) la cui libertà di stampa è da settimane sotto accusa per aver nascosto i dati reali sui contagi da coronavirus e in cui “il presidente Xi Jinping è riuscito a imporre un modello sociale basato sul controllo di notizie e informazioni e sulla sorveglianza online dei suoi cittadini”.
Se le regioni peggiori per le libertà di stampa si confermano ancora una volta il Medio Oriente e l’Europa orientale, dove Russia e Turchia rappresentano modelli esemplari della repressione ai giornalisti, è proprio la regione asiatica ad aver registrato il peggioramento più consistente nell’ultimo anno con un consistente aumento nelle violazioni alle libertà di stampa. Oltre alla presenza dei due già citati regimi autoritari, pesa sulla situazione della regione il drastico peggioramento di diversi stati. L’Australia, ad esempio, ha perso cinque posizioni nella classifica delle libertà di stampa perdendo quell’immagine di paese modello per le libertà di stampa a causa dei recenti episodi di violazioni nella riservatezza delle fonti e di sistematiche violazioni in nome di una non meglio definita “sicurezza pubblica”. Ma a trascinare ancor più in basso l’intera regione è stata senza dubbio Hong Kong. Travolta dalle proteste di cui a lungo vi abbiamo parlato nei mesi scorsi, l’ex colonia britannica ha assistito ad una crescita esponenziale delle violazioni verso i media. Molti operatori e giornalisti hanno denunciato violenze della polizia nei confronti di chi documentava le manifestazioni di piazza in cui un reporter indonesiano ha addirittura perso un occhio dopo essere stato colpito da un proiettile di gomma. Cariche, violenze indiscriminate e arresti non hanno risparmiato nemmeno i media, nonostante fossero chiaramente riconoscibili grazie ad una pettorina gialla, che hanno dovuto operare in un clima di aperta ostilità.
Per molti paesi, insomma, la libertà di stampa si conferma un lusso mentre entriamo in decennio che sarà fondamentale anche per il giornalismo. Sulla libertà di stampa pendono come un’ennesima spada di Damocle cinque crisi convergenti che potrebbero schiacciarla definitivamente: una crisi geopolitica, dovuta all’aggressività dei regimi autoritari; una crisi tecnologica, a causa della mancanza di garanzie democratiche; una crisi democratica dovuta alla polarizzazione e alle politiche repressive; una crisi di fiducia dovuta al sospetto e persino all’odio nei confronti dei media; una crisi economica che inevitabilmente mette a rischio il giornalismo, la cui qualità richiede anche costi non indifferenti.
Saranno dieci anni difficili, come lo sono stati gli ultimi. Dieci anni in cui avremo bisogno, più che mai, di “Giornalisti Giornalisti” che ci raccontino la verità ad ogni costo. Però, in questi dieci anni e per quelli a venire, è ancor più importante che non rimangano soli. È ancor più importante che tutti smettiamo di guardare al dito e iniziamo a vedere la luna. Una luna fatta di violazioni ed intimidazioni. Come una grande Morte Nera che possa da un momento all’altro toglierci libertà che pensiamo essere intoccabili.