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Verso il voto: cosa dicono i programmi dei partiti sul contrasto alle mafie

In vista del voto del 25 settembre abbiamo analizzato i programmi dei quattro principali schieramenti politici per verificare se e come il contrasto alla criminalità organizzata venga trattato dai partiti che compongono i cosiddetti quattro poli. 

“Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere.” Era il 3 febbraio quando, davanti al Parlamento che lo aveva appena rieletto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciava queste parole. Non aveva fatto in tempo nemmeno a finire la frase che dai banchi del parlamento senatori e deputati si erano alzati ad applaudire quell’affermazione. Per quasi venti secondi, applausi bipartisan avevano incorniciato quella frase costringendo il Presidente Mattarella a fermarsi e osservare quel pieno sostegno alla propria affermazione. Sei mesi dopo, però, quella simbolica presa di impegno sembra essere svanita nel nulla con programmi elettorali in cui la parola mafia fatica a comparire mentre il tema del contrasto alla criminalità organizzata trova sempre meno spazio.

Centrosinistra (PD, Verdi-Sinistra Italiana, Impegno Civico, +Europa) – Il centrosinistra sembra essere la coalizione che, almeno da programma, presta maggior attenzione al tema delle mafie. Il Partito Democratico indica nel proprio programma la volontà di “costruire una nuova cultura della legalità, che faccia della lotta alle mafie e alla criminalità organizzata una priorità”. Il PD sottolinea l’urgenza di un “piano nazionale contro le mafie che definisca obiettivi condivisi per tutte le amministrazioni dello stato per accompagnare la nuova stagione di investimenti pubblici”. Un riferimento implicito ai soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che viene esplicitato in un passaggio successivo in cui si ribadisce l’importanza di “vigilare affinché i fondi del PNRR ed in particolare gli appalti ad essi legati siano tenuti al riparo dai rischi di infiltrazione mafiosa”. A ciò si aggiunge la volontà, espressa come vedremo da più parti, di riformare la legge sullo scioglimento dei comuni per rafforzare il contrasto alle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione. Proposte certo condivisibili ma prive di qualsiasi indicazione sui tempi e i metodi per attuarle al punto da farle sembrare slogan più che reali impegni. Unico passaggio “concreto” sul tema nel programma del Partito Democratico è la proposta di legalizzare l’autoproduzione di cannabis per uso personale vista come un tassello importante “nell’ambito delle politiche di contrasto alle mafie”. Un tema, quello della legalizzazione e regolamentazione della cannabis che condivide anche +Europa che l’unica volta che cita la parola “mafia” nel proprio programma lo fa proprio per sottolineare come una regolamentazione della cannabis in Italia aiuterebbe nel “contrasto ai profitti delle narco-mafie”.

Decisamente più articolato e concreto il programma sul tema di Verdi e Sinistra Italiana. L’alleanza rossoverde dedica ampio spazio al tema nel suo programma, anche se penultimo tra i punti programmatici, individuando anche alcune proposte concrete da attuare in caso di governo di centrosinistra. Anche in questo caso, in linea con quanto proposto dagli alleati, si ha una netta apertura alla legalizzazione delle droghe leggere come strumento di contrasto alla criminalità organizzata. A ciò si aggiunge la volontà di “affermare sempre più la legalità attraverso processi formativi ed educativi e prima ancora che per la propria sicurezza, per la propria dignità e per poter affermare la nostra libertà” e di facilitare le procedure per il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Rispetto agli alleati, e coerentemente con la natura dell’alleanza, Verdi e Sinistra Italiana affrontano poi nel dettaglio il contrasto alle cosiddette ecomafie con un elenco di venti proposte volte a ostacolare il fenomeno. A livello normativo si segnala la volontà di aggiornare la normativa sul piano cave, teatro da sempre di sversamenti e tombamento di rifiuti, e “un rafforzamento delle misure cautelari del sequestro preventivo e della confisca” oltre all’inserimento dei reati ambientali nel novero di quei delitti per cui non scatta l’improcedibilità. Tra gli altri punti importanti appaiono quello relativo all’attivazione di un sistema di tracciamento GPS dei rifiuti, già previsto per legge ma mai realmente attivato, oltre a una mappatura di impianti autorizzati allo smaltimento e di aree dismesse potenzialmente a rischio perché utilizzabili per stoccare illegalmente rifiuti.

Il programma di centrosinistra, come vedremo, è quello che dedica maggior spazio al tema. In linea con quanto visto per le questioni ambientali, però, ancora una volta le proposte appaiono essere fumose e poco concrete ad eccezione del programma dell’alleanza rossoverde, unica realtà in grado di mettere nero su bianco proposte concrete per il contrasto ad un fenomeno specifico come quello delle ecomafie.

Centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati) – “Lotta alle mafie e al terrorismo”. È questo l’unico passaggio sul tema nel programma comune della coalizione di centrodestra. Una singola frase all’interno del capitolo dedicato a “sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale” senza alcun approfondimento o proposta concreta. Una situazione che ricalca quanto si verifica anche nei singoli partiti con, ad esempio, Fratelli d’Italia che nel suo “programma per risollevare l’Italia” nel capitolo dedicato a sicurezza e immigrazione parla genericamente di “lotta senza tregua a tutte le mafie, al terrorismo e alla corruzione”. Lo stesso avviene nel programma di Forza Italia in cui si parla di una generica “riforma degli strumenti di lotta alle mafie per conferire loro maggior efficacia”.

All’interno della coalizione il partito che dedica maggior spazio al tema, anche se in modo schematico e a nostro parere confuso, è la Lega che dedica due slide nel proprio “programma di governo” al tema del contrasto alle mafie. Tra le proposte emerge la volontà di espandere gli organici delle forze di Polizia per garantire “un controllo e una prevenzione sul territorio maggiormente capillare” e la proposta di potenziare il ruolo dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati e Sequestrati. Per quanto riguarda i beni confiscati la Lega rilancia poi la proposta di aprire alla possibilità di vendere i beni confiscati, già emersa in passato durante il governo Lega-M5S e duramente contestata dal movimento antimafia che ne ha sottolineato i rischi. Sul tema della formazione il programma del partito di Matteo Salvini sottolinea la necessità di istituire protocolli con le scuole per lo svolgimento di “incontri e percorsi formativi volti alla promozione della cultura della legalità e al contrasto alle mafie”. A far discutere, come già emerso nelle scorse settimane, è però il punto riguardante lo scioglimento dei comuni per mafia: “Attualmente” si legge nel documento “quando in un Comune la commissione prefettizia accerta che la collusione con una organizzazione criminale sia di un singolo consigliere e/o funzionario pubblico, quasi sempre viene sciolto il Comune. Proponiamo invece che la decadenza riguardi solo la persona collusa”. Si tratta però di una narrazione semplicistica che che non tiene conto del fatto che per lo scioglimento del comune non basta la presenza di un singolo funzionario o consigliere colluso ma di un ampio sistema in gradi di “determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”.

Movimento 5 Stelle – Timido appare anche il programma del Movimento 5 Stelle che sul tema non porta proposte concrete se non quella, già avanzata dal centrosinistra, di legalizzare e regolamentare la coltivazione della cannabis per uso personale “al fine di contrastare il business della criminalità organizzata”. Per il resto, nel breve paragrafo dedicato al tema, si parla di un generico “potenziamento degli strumenti di contrasto già esistenti” e del “completamento delle riforma in tema di ergastolo ostativo” con l’esplicita volontà di tutelare i “principali presidi antimafia come il 41bis e le misure di prevenzione personali e patrimoniali”.

Si tratta di un programma evidentemente scarno e privo di qualsiasi proposta concreta che poco sembra avere a che fare con lo slogan “Onestà, Onestà” su cui ha basato la propria ascesa il Movimento 5 Stelle delle origini. La scarsa attenzione al tema di mafie e criminalità organizzata sembra oggi confermare la tendenza del M5S a staccarsi sempre più da quell’idea di anti-partito da cui era nata l’esperienza pentastellata.

Terzo Polo (Italia Viva, Azione) – Quasi assente, invece, la parola mafia dal programma di Azione – Italia Viva. Nel testo depositato dal cosiddetto Terzo Polo, oltre a sottolineare con frasi di circostanza l’ovvia necessità di contrastare il fenomeno, l’unica proposta che emerge è la volontà di modificare la legge sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose “garantendo risorse adeguate e strumenti efficaci per evitare il fenomeno degli scioglimenti ripetuti.” Si segnala inoltre la presenza della parola mafia utilizzata anche in relazione al contrasto all’immigrazione clandestina che sarebbe “un danno sia per i migranti sia per i paesi di destinazione” e “favorisce lo sviluppo di mafie transnazionali e di politiche ricattatorie”.

Quirinale, the end: Perdono i partiti ma vince la politica. E adesso?

La rielezione di Mattarella non è la sconfitta della politica che, anzi, se vogliamo ne esce vincitrice. È senza dubbio, però, la sconfitta del sistema dei partiti e dei leader politici che li guidano. Ora il panorama è desolante con spaccature e crisi ovunque che impongono una ricostruzione da zero.

Alla fine, è Mattarella Bis. La svolta arriva alle 10.36 quando Matteo Salvini si lascia sfuggire una dichiarazione sibillina mentre chiacchiera a microfoni spenti con i cronisti in Transatlantico. “Non si può andare avanti solo con i veti” dice il leader leghista “a questo punto conviene andare decisi sul bis di Mattarella. Ma dobbiamo essere tutti convinti”. È il momento in cui, per dirla con le parole di Letta, “il piano si fa inclinato” e la pallina inizia a scivolare inarrestabile verso la fine della discesa. Così, mentre in aula si prosegue con la settima votazione a vuoto, fuori dal palazzo la situazione si evolve rapidissimamente. Il Premier Draghi, dopo un colloquio con Mattarella a margine del giuramento al Quirinale di Filippo Patroni Griffi come giudice della Corte Costituzionale, rimane a colloquio da Mattarella facendo da trait d’union tra i partiti e il presidente uscente. Registra una disponibilità di massima e, immaginiamo, la comunica ai leader della maggioranza. La pallina scivola sempre più veloce. Iniziano e registrarsi le reazioni dei partiti e sono tutti con Mattarella al punto che Casini, fino a quel momento ancora in corsa con il sostegno di Forza Italia, si fa da parte: “Chiedo al Parlamento, di cui ho sempre difeso la centralità, di togliere il mio nome da ogni discussione e di chiedere al presidente della Repubblica Mattarella la disponibilità a continuare il suo mandato nell’interesse del Paese”. C’è una sola voce fuori dal coro, quella di Giorgia Meloni che inferocita twitta immediatamente: “Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato. Non voglio crederci”. Ma la pallina ormai è inarrestabile e alle 15 arriva l’atto formale con la salita al Colle dei capigruppo di maggioranza a chiedere ufficialmente la disponibilità del Presidente uscente. “Avevo altri programmi” dice Mattarella “ma se è necessario ci sono”. E così si arriva al plebiscito dell’ottava votazione: 759 voti, il più votato dopo Pertini, e fine della corsa.

Ma al di là della cronaca della giornata di ieri, oggi è tempo di bilanci. Da ieri la teoria più ricorrente è quella secondo cui “l’elezione di Sergio Mattarella è la sconfitta della politica”. Non è così. La rielezione di Sergio Mattarella è una sconfitta, nettissima, ma non della politica. È la sconfitta del sistema dei partiti, uscito a pezzi da una settimana di vergognoso teatrino. Quei partiti che si sono dimostrati incapaci di trovare un punto di incontro. Quei partiti che per una settimana hanno fatto fuoco e fiamme bruciando uno dopo l’altro esponenti autorevoli della vita politica ed istituzionale della Repubblica Italiana. Quei partiti che alla fine hanno scelto la via più semplice, ripiegando sul presidente uscente nonostante le sue richieste di trovare un altro nome. Il sistema dei partiti a cui siamo abituati, con leader e capigruppo che conducono saldamente i loro parlamentari, si è disciolto. Per giorni i grandi elettori, da un lato e dall’altro, hanno votato di testa loro in totale autogestione avviando di fatto a partire dalla terza votazione una inedita “operazione Mattarella”. Il risultato è che per la prima volta sono i leader a seguire i parlamentari e non viceversa. Condottieri senza esercito ed eserciti senza condottieri rappresentano uno scenario inedito e dissacrante per il sistema dei partiti e per la politica italiana. Uno scenario che vede in definitiva la sconfitta dei partiti e dei loro leader ma non della politica che, anzi, ne esce se possibile vincitrice. La politica vince perché i Grandi Elettori sembrano votare come espressione dei cittadini che rappresentano, votando in modo spontaneo un presidente che piace al 66% degli italiani (dati SWG per La7, gennaio 2022). Sembra dunque ripristinarsi quel principio di rappresentanza che è cardine della democrazia e della politica. Poi, ovviamente, non è tutto bianco o nero e dunque è chiaro che dietro quei voti sparsi non ci sia solo la volontà di dare voce a quel 66% di cittadini pro-Mattarella ma anche la paura di un cambiamento improvviso con ripercussioni imprevedibili sul governo. Ma è un inizio, e non è poco visti i tempi bui.

Tempi bui per i leader e tempi bui per le coalizioni che escono con le ossa rotte da questa settimana e che ora dovranno cercare un nuovo equilibrio e, presumibilmente, creare una nuova geografia. A farne maggiormente le spese è stato senza dubbio il centrodestra che, arrivato a inizio votazioni con la presunzione di essere granitico, si è spaccato inesorabilmente sotto le picconate dei franchi tiratori. Quel centrodestra che aveva in mano il pallino del gioco ma che non è riuscito a condurlo arrivando a bruciare la seconda carica dello stato. Ad oggi la situazione nella coalizione sembra irrisolvibile con Forza Italia che da venerdì pare aver scaricato definitivamente i compagni meno moderati. I timori di una rottura anche tra Lega e Fratelli d’Italia, saliti dopo il no secco di Giorgia Meloni diventano quasi certezze dopo le dichiarazioni rilasciate da Giorgia Meloni al Corriere della sera: “con Lega e Forza Italia, oggi, siete ancora alleati? In questo momento no. Mi sembra che abbiano preferito l’alleanza col centrosinistra, sia per Draghi che per Mattarella. Se per fare una prova manca un terzo indizio, quello è la legge elettorale: c’è chi cercherà di cambiarla in senso proporzionale. Se ci staranno, ci sarà poco da aggiungere”. I tre principali poli del centrodestra, dunque, sono divisi come mai lo erano stati prima. Nel prossimo anno, prima delle politiche della primavera 2023, bisognerà ricostruire da zero un’alleanza che possa presentarsi unita alle urne per puntare al governo o sarà l’ennesima occasione sprecata. 

Nel centrosinistra, invece, la coalizione sembra reggere ma a spaccarsi sono i partiti. Il Movimento 5 Stelle è una polveriera e ieri sera, dopo le scaramucce dei giorni scorsi, è iniziata la resa dei conti. Di Maio, pochi minuti dopo il discorso con cui Mattarella accetta l’incarico, convoca i giornalisti e attacca Conte. “Alcune leadership hanno fallito” dice “credo che anche nel M5s serva aprire una riflessione politica interna”. Non che servissero dichiarazioni pubbliche per capirlo. Proprio l’operazione “Mattarella – Bis”, nata non a caso dalle fila del M5S e poi appoggiata da Di Maio, è stato il segnale che qualcosa non andasse. Ora il Movimento dovrà ripartire ricucendo, o strappando definitivamente, le due anime prevalenti che lo compongono: quella dimaiana e quella contiana. Il PD, cosa strana per un partito di “sinistra”, sembra essere quello che ha meglio retto il colpo senza dividersi. Certo, anche nel Partito Democratico, sono stati tanti i grandi elettori a votare Mattarella in autonomia senza seguire le istruzioni del leader ma Enrico Letta sembra essere quello uscito meglio da questa debacle. i spende a lungo, con prudenza, per Mario Draghi, muovendosi sul filo del rasoio, con Giuseppe Conte che vuole il premier morto, in compagnia di Dario Franceschini, e contando sull’ambivalente sostegno a distanza di Luigi Di Maio. E siccome non si tratta di fatti personali, ma solo di politica, cura anche il canale con Italia viva. Azzecca la tattica parlamentare sulla prova di forza con Maria Elisabetta Alberti Casellati, lasciando il centrodestra a contarsi. Invita al volo a assecondare la saggezza dei grandi elettori, dopo la prova del nove su Mattarella.

Ora si spengono le luci. Il Transatlantico svuotato torna nel silenzio e le strade intorno a Montecitorio tornano ad essere percorribili da tutti. Come abbiamo già detto nei giorni scorsi, per chi ama e segue la politica quello dell’elezione del Capo dello Stato è uno dei momenti più belli e divertenti che ci possano essere. Così oggi resta un po’ di malinconia, come quella che sale dopo l’ultimo giorno di scuola. Ma da domani inizia un altro anno di politica e, visti i presupposti, si preannuncia un anno particolarmente movimentato. Insomma, pare proprio che ci sarà da divertirsi. O da mettersi le mani nei capelli, se preferite.


Le immagini che restano

  1. La salita: I capigruppo salgono al Colle per chiedere ufficialmente il Bis a Mattarella.
  2. Applauso: Alle 20.19 Fico pronuncia per la 506° volta il nome di Mattarella. I rappresentanti politici presenti in aula si alzano in un lungo applauso.
  3. Discorso: il presidente rieletto pronuncia immediatamente un breve discorso: “I giorni difficili che stiamo vivendo richiamano al senso di responsabilità e al rispetto del volere del parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri a cui si è chiamati”

Quirinale, giorno 5: Il centrodestra è morto, il centrosinistra spaccato. Così l’elezione del Presidente diventa una rissa

Sono le 14.58 quando Fico annuncia i risultati della prima votazione segnando la fine del centrodestra. La sconfitta della Casellati fa implodere la coalizione e costringe a nuove trattative con il centrosinistra che, però, in serata si spacca.

Quando il gioco si fa duro, i franchi tiratori iniziano a giocare. È la legge non scritta delle elezioni per il capo dello stato. Questa volta i traditori non sono 101 ma 71 e a farne le spese non è il centrosinistra ma il centrodestra. A farne le spese è la seconda carica dello stato: la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. E peggio di così non poteva andare. Quella che doveva essere una prova di forza, si è rivelata una catastrofe. L’obiettivo del centrodestra, che conta 453 grandi elettori, era di arrivare almeno a 410-420 voti dimostrando così una certa unità prima provare l’affondo nel pomeriggio. Alla fine, però, l’asticella si è fermata a 382. Pochi. Troppo pochi.

La Casellati segue lo scrutinio al fianco di Fico contando i voti “segnati” come da copione dai partiti del centrodestra. Capisce che qualcosa non sta funzionando. Inizia a messaggiare nervosamente dal suo smartphone, tanto che Fico deve rallentare più volte la conta perché lei smette di passare le schede ai segretari. Alla fine della votazione sembra abbia un attimo di mancamento, lo percepiscono in pochi, ma un assistente parlamentare si affretta a darle un sostegno fisico, offrendole il braccio. Esce dall’aula senza dire nulla. La seconda carica dello stato è bruciata da 71 franchi tiratori. Non serve molto per capire chi ha tradito. Come da consolidata tradizione i partiti hanno “segnato” le schede, scrivendo lo stesso nome in modo diverso, per misurare la fedeltà. L’accordo di ieri era chiaro: la Lega scrive solo Casellati, Fdi Elisabetta Alberti Casellati, Forza Italia Elisabetta Casellati, Coraggio Italia Alberti Casellati. Le defezioni, in questo modo portano una firma inequivocabile. La firma di Forza Italia, proprio il partito della Casellati. Il centrodestra si spacca con Meloni e Salvini che si dicono uniti e accusano gli azzurri. È il momento più buio per la coalizione che si sentiva invincibile e che ora smarrita sembra in cerca di una via. Intanto il tempo stringe in vista della seconda votazione fissata per le 17 e il momento sembra propizio per il centrosinistra che dopo l’astensione del mattino potrebbe riprendere in mano la partita. Non è così, dal vertice tra PD LeU e M5S non escono nomi ma solo l’indicazione di votare scheda bianca. Una scelta fatta più che altro per misurare quella frangia che da giorni vota per Sergio Mattarella e le cui fila vanno ingrossandosi. Come prevedibile, mentre il centrodestra decide di astenersi, i voti per il presidente uscente arrivano da ogni dove e alla fine saranno 336. Due nulla di fatto, alla fine della giornata, ma se il secondo passa sostanzialmente senza fare danni il primo è un vero cataclisma.

E adesso che succede? È questa la vera domanda che aleggia, irrisolta a fine giornata. Dal tardo pomeriggio, dopo lo strappo sul voto alla Casellati, Forza Italia si è smarcata dagli alleati iniziando ad incontrare in autonomia i leader del centrosinistra in cerca di un accordo senza rispondere più a Lega e Fratelli d’Italia. Salvini e Meloni devono ammettere la sconfitta e rinunciano a forzature aprendo al dialogo con tutti. A un passo dal baratro, Matteo Salvini incontra il premier Draghi per verificare in estremo la possibilità di un accordo che tenga insieme il destino del governo e il nome del prossimo capo dello Stato. Poi subito da Conte e Letta per trovare un nome condiviso con le forze politiche che sembrano trovare una quadra e per qualche ora sembra si sia addirittura trovato l’accordo per votare Elisabetta Belloni già da questa mattina. Ma è un’illusione che dura poche ore, giusto il tempo di far circolare il nome sui principali media italiani. Da subito Forza Italia si dice contraria alla numero uno del DIS ricevendo l’appoggio di Italia Viva con Renzi che annuncia che non la voterà. Anche i cinque stelle si spaccano con DI Maio che attacca Conte con una dichiarazione dai toni forti: “Trovo indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso. Lo avevo detto ieri: prima di bruciare nomi bisognava trovare l’accordo della maggioranza di governo. Tutto ciò, inoltre, dopo che oggi è stata esposta la seconda carica dello Stato. Così non va bene, non è il metodo giusto”.

È chiaro a questo punto che se la Belloni venisse eletta salterebbe la maggioranza venendo meno quel principio di condivisione tra tutti i partiti auspicato da Draghi. Ma mentre anche i grandi elettori del Pd pubblicano comunicati duri sulla decisione di Belloni e sul passaggio diretto dai Servizi al Colle, sorge il dubbio che il suo nome sia stato fatto per disorientare gli avversari e la stampa su quella che sarà la vera mossa dei leader delle forze che reggono il governo. Riemerge insomma lo spettro di un accordo tra Salvini e Conte. L’idea che i due possano tramare in segreto per trovare un nome era già circolata nei giorni scorsi tanto da costringere Letta ad imporsi nel vertice di ieri mattina e chiedere l’astensione del centrosinistra alla prima votazione, temendo che nel segreto dell’urna questo accordo diventasse palese con l’elezione della Casellati. Di certo, appare scelta incauta quella di spifferare sottovoce alla stampa, come hanno fatto i leghisti, o proclamare a gran voce, come ha fatto Grillo, il nome del candidato presidente il giorno prima dello scrutinio per eleggerlo. Verrebbe da pensare che l’intento vero sia quello di bruciare Belloni, coprendo con questa notizia il nome vero. Italia Viva e Forza Italia credono ancora che l’operazione Casini possa riuscire. Marta Cartabia è un’altra opzione ancora percorribile, se vengono superate le resistenze grilline. E poi c’è Mattarella per il quale ieri si è mossa una marea di grandi elettori e su cui molti iniziano a nutrire più di qualche speranza.

Le certezze insomma sono sostanzialmente due: il centrodestra non esiste più e il centrosinistra potrebbe fare la stessa fine a breve. L’elezione del Capo dello Stato, insomma, si trasforma in un tutti contro tutti e dal marasma emergono le forze populiste che potrebbero provare il colpaccio. Oggi potrebbe già essere il giorno decisivo con il tentativo di eleggere un Presidente già da questa mattina (prima votazione alle 9.30). Ma oggi, potrebbe essere anche l’ennesima giornata di scontro e trattative in attesa che si sblocchi una situazione che pare sempre più intricata.


Le immagini che restano

  1. Sconforto: La casellati segue sconfortata e con distacco lo spoglio che la vede sconfitta.
  2. Tradito: Primo ad uscire dal vertice con Conte e Salvini, Enrico Letta parla di responsabilità ed ottimismo, afferma che “ci vuole tempo” evitando di fare riferimenti a nomi o personalità. Passano pochi minuti ed escono gli altri due leader che decidono per una linea diversa annunciando che la candidata sarà una donna. “Basta, ci vuole serietà, sennò così si bruciano candidati e soluzioni” il commento stizzito del leader del PD
  3. Tweet: Elio Vito comunica su Twitter di non aver voluto seguire l’indicazione di voto del suo schieramento, ovvero di votare Elisabetta Casellati, e al tempo stesso di non far parte del gruppo dei franchi tiratori che, nell’urna, hanno “tradito” la comanda dei leader. “Non sono d’accordo con la decisione del cdx di votare, senza un accordo, Casellati. Il metodo giusto per eleggere il Capo dello Stato in questa situazione è cercare la condivisione con il centrosinistra” aveva comunicato poco prima sempre sui social.

Quirinale giorno 2: Dal centrodestra prove generali di elezione mentre si cerca un nome condiviso

Nella seconda giornata di votazioni si registra un altro giro di schede bianche con conseguente fumata nera. Tra conferenze stampa congiunte e nomi di bandiera si cerca convergere verso un nome comune. E se il centrodestra avesse già i numeri?

Sul Colle sventola scheda bianca. Come da copione anche la seconda votazione per l’elezione del capo dello stato non ha dato risultati e si è chiusa, in largo anticipo rispetto alla giornata di lunedì, con 527 schede bianche. I più attenti forse noteranno che le schede bianche sono diminuite notevolmente rispetto alle 672 del giorno precedente. È un segnale che qualcosa si muove? Assolutamente no. È solo il frutto della decisione dei parlamentari di porre fine a quella serietà di cui vi avevamo parlato ieri votando i nomi più disparati, da Nino Frassica ad Enrico Ruggeri che prende addirittura 4 voti. Al di là di questo poco cambia: trionfo di schede bianche ed ex cinque stelle che di nuovo votano in blocco Paolo Maddalena (39 voti). Unica variazione significativa si ha sul numero dei grandi elettori che da ieri tornano ad essere 1009 a seguito della proclamazione di Maria Rosa Sessa (Forza Italia) al posto di Vincenzo Fasano, deputato forzista deceduto domenica.

Qui si esaurisce la cronaca dal Palazzo. Ma è fuori dal Parlamento, negli uffici e nei ristoranti romani, che si gioca la partita vera. Ed il primo tempo va al centrodestra che alle 16.29 con una conferenza stampa congiunta dei tre leader Salvini, Meloni e Tajani annuncia una rosa di tre nomi per il Quirinale: Letizia Moratti, Marcello Pera, Carlo Nordio. Tre nomi di bandiera che, e lo sanno bene anche nel centrodestra, sono assolutamente irricevibili da PD, LeU e Movimento 5 Stelle che come previsto rispondono con un secco “no” ma si dicono disponibili al dialogo al punto da non presentare nomi alternativi per non rompere quel sottile equilibrio che si va creando. Ma allora perché il centrodestra avrebbe presentato tre nomi pur sapendoli irricevibili? Per smuovere la situazione in vista di domani quando, lo ricordiamo, il quorum scenderà a 506 grandi elettori. L’obiettivo è, insomma, quello di far uscire allo scoperto il centrosinistra che a questo punto per non andare al muro contro muro sarà costretto a sedersi a un tavolo con i leader della parte opposta per trattare su un nome esterno a quella rosa. Tra quei tre nomi, infatti, ne manca uno molto più autorevole: Maria Elisabetta Casellati, l’attuale presidente del Senato. E proprio lei sarebbe il candidato su cui vuole puntare il centrodestra. Un nome non fatto per proteggere la sua candidatura, per non “bruciarla” come si dice in gergo. È la carta coperta su cui andare in all in, o quasi, in vista di domani.

Oggi, insomma, è la giornata chiave e a condurre le danze sarà ancora una volta il centrodestra che vuole chiudere la partita ed eleggere domani o massimo venerdì il nuovo Capo dello Stato. Il vertice tra i due schieramenti, che si terrà a breve, potrebbe portare ad un nome condiviso o a una rottura. Mentre scendono le quotazioni di Draghi, su cui anche il PD sembra sempre più spaccato, restano alte quelle del centrista Casini. Proprio su di lui potrebbero convergere le varie forze politiche considerando che il centrosinistra farà verosimilmente di tutto per scongiurare l’elezione della Casellati, che rappresenterebbe di fatto la vittoria del centrodestra. Ma se il tavolo oggi dovesse saltare lo scenario cambierebbe e non poco. Uno strappo oggi significherebbe l’addio all’ipotesi di un candidato condiviso e la caccia del centrodestra ai voti necessari per raggiungere il quorum ed eleggere il proprio presidente che, a quel punto, potrebbe essere davvero la Presidente del Senato.

È uno scenario così impossibile? Forse no. Il centrodestra, che conta 457 grandi elettori, avrebbe infatti bisogno di fatto di trovare una cinquantina di voti fuori dai propri gruppi parlamentari. Nulla di così impossibile nella legislatura con il gruppo misto più grande di sempre. In questo scenario, che ricordiamo essere assolutamente ipotetico, i primi a confluire nel centrodestra potrebbero essere i 43 grandi elettori di Italia Viva che da sempre guardano con interesse a quel lato dell’emiciclo. Ancora non basterebbe. Ma a votare con il centrodestra potrebbe esserci un altro gruppo che in questi giorni sta facendo parlare di sé: gli ex 5 Stelle. Quei 35-40 grandi elettori che in questi giorni votano compatti per Maddalena. Con i loro voti di lunedì e di ieri hanno dimostrato il loro peso, offrendosi di fatto al miglior acquirente come pacchetto di voti sicuro. E l’acquirente, stando a quanto hanno rivelato a chi scrive fonti vicine al gruppo, sarebbe arrivato proprio dal centrodestra che nella giornata di ieri avrebbe trovato un accordo per farli confluire nelle proprie fila da domai. A quel punto il quorum sarebbe ampiamente superato. 457 dal centrodestra, 43 da Italia Viva e altri 35 dagli ex Cinque stelle a cui aggiungere qualche franco tiratore del centrosinistra e almeno una quindicina del misto. I numeri per eleggersi il proprio capo dello stato, insomma, il centrodestra li ha.

Lo farà? Difficile. Più facile che il Centrodestra utilizzi questi numeri, se confermati, per fare pressione sul Centrosinistra. Nessuno vuole uno strappo, che significherebbe di fatto caduta del governo ed instabilità politica ai massimi storici. Oggi si cercherà di convergere su un nome, e non è da escludere che il Centrodestra possa votare in blocco uno dei tre nomi fatti ieri uscendo dalla logica della scheda bianca per far vedere il suo peso effettive. Domani le carte saranno tutte sul tavolo. Domani si fa sul serio.


Le immagini che resteranno:

  1. Prove tecniche di insediamento: Il gran giorno è vicino. Al Quirinale sono già iniziati i preparativi per la cerimonia di insediamento e nella giornata di ieri davanti al Quirinale hanno sfilato la fanfara a cavallo dei Carabinieri, i corazzieri a cavallo e la mitica Lancia Flaminia a bordo della quale il nuovo presidente farà il suo ingresso a palazzo.
  2. I King (o Queen) maker: Alla conferenza stampa del pomeriggio di ieri i leader del centrodestra escono allo scoperto. Sono loro ad avere in mano la partita del Quirinale.
  3. Il giovane Casini: Un Casini giovanissimo che parla ad un comizio e la frase “la passione politica è la mia vita”. Un post sibillino dell’eterno centrista su Instagram che sa tanto di candidatura al Colle.