Patrick Zaki + 60mila: la piaga degli arresti politici in Egitto


“Vorrei essere libero come un uomo“
– Giorgio Gaber –
Sono passati dieci anni dalla primavera araba che aveva ridato speranza all’Egitto. Oggi, però, il paese sembra più che mai sprofondato in un gelido inverno dittatoriale con il generale Al-Sisi che ha di fatto congelato ogni speranza di democrazia imponendo il proprio regime. Grazie alla complicità dell’occidente, più interessato alla stabilità della regione che al benessere e i diritti di chi la abita, in Egitto è di fatto tornata una dittatura che reprime le opposizioni imprigionando chi spera in un paese migliore.

Patrick – Tra gli oltre 60 mila detenuti politici in Egitto, da 365 giorni esatti c’è anche Patrick Zaki. Arrestato il 7 febbraio scorso appena atterrato all’aeroporto del Cairo, lo studente dell’Università di Bologna è rinchiuso da un anno nel carcere di massima sicurezza di Tora nonostante a suo carico non siano ancora state formulate accuse ufficiali. Secondo la ricostruzione di Amnesty international, è stato interrogato per 17 ore, bendato, ammanettato, poi picchiato e torturato con scosse elettriche. Ed è finito nel limbo della detenzione preventiva, in cui si trovano trentamila egiziani e che è la misura punitiva più usata dalle autorità contro quelli che sono considerati oppositori politici. Un limbo che si rinnova ogni 45 giorni con la pronuncia di un giudice che puntualmente delude le speranze dei familiari rinnovando la detenzione del ragazzo. Un limbo che, secondo la legge egiziana, potrebbe durare ancora un anno essendo di due anni il limite massimo per la detenzione preventiva.
In un anno la giustizia egiziana ha prodotto nei confronti dello studente iscritto all’Università di Bologna 11 rinnovi della detenzione, ci sono stati 13 rinvii delle udienze, specie tra primavera ed estate a causa del Coronavirus, e una raffica di esposti ed appelli per chiedere la sua liberazione, tutti respinti. L’ultima beffa, ossia l’ennesima udienza-farsa nell’aula bunker della State Security – stesso complesso del terribile penitenziario di Tora e dunque a poche centinaia di metri dalla sua cella – meno di una settimana fa. Con un’aggravante stavolta. Il rinnovo della misura cautelare per altri 45 giorni da parte del giudice è comparso in anteprima su alcuni organi di stampa vicini al regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi, addirittura prima dell’ufficializzazione all’avvocata di Patrick, Hoda Nasrallah.
Detenuti – Ma quella di Patrick, nell’Egitto di Al-Sisi, non è una situazione unica. Secondo la ong Human Rights Watch sono oltre sessantamila i detenuti politici richiusi nelle carceri egiziane per le loro idee politiche, per la loro fede o per il loro attivismo tutela dei diritti umani. Il regime di Al-Sisi utilizza sempre più lo strumento della detenzione preventiva per togliere di mezzo non solo figure scomode ed oppositori ma anche influencer in grado di condizionare migliaia di giovani. È il caso, ad esempio, della 22enne Mawada Eladhm, tre milioni di follower su tik tok, arrestata per avere “violato i princìpi e i valori familiari della società egiziana”. Nel mirino della Nsa, i servizi segreti egiziani, non finirebbero solo voci critiche contro il governo ma anche artisti o, come nel caso di Mawada, giovani divenuti famosi grazie ai social, accusati di diffondere messaggi immorali che attentano ai valori tradizionali della nazione.
Chi viene arrestato dall’Nsa, secondo Amnesty, “finisce nelle stazioni di polizia o negli uffici del ministero dell’Interno. Le persone non vengono iscritte nel registro dei detenuti quindi ufficialmente non risultano in mano alla polizia. Possono restare in questa situazione per pochi giorni o settimane, nei casi più gravi anche per mesi e ci è stato riferito che durante questo periodo capita che subiscano torture o violenze di vario genere”. Nessuno, insomma, sembra essere al sicuro sotto il regime autoritario di Al-Sisi.
Forse pensava di essere al sicuro Ahmed Samir Santawy quando il primo febbraio si è imbarcato a Vienna, dove frequentava la Central European University, per far ritorno a casa durante le vacanze. Invece, in una storia che ricorda per filo e per segno quanto accaduto a Patrick, è stato arrestato al Cairo e dal momento del fermo nessuno ha più avuto sue notizie. Un anno dopo l’arresto di Patrick, dunque, la storia si ripete in un paese in cui la luce della democrazia sembra essere sempre più flebile.