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Khaby Lame sarà cittadino italiano. Ma tutti gli altri?

Dopo essere diventato il più seguito di sempre su TikTok, Khaby Lame ha ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana. Ma ancora una volta la concessione della cittadinanza sembra essere un premio più che un diritto mentre un milione di ragazzi aspettano lo ius scholae.

Khaby Lame presto sarà cittadino italiano. Ad annunciarlo è stato Carlo Sibilia, sottosegretario al Ministero dell’Interno del governo Draghi, che con un tweet ha reso noto che il decreto di concessione della cittadinanza italiana per la star di TikTok è già stato emanato dal ministero e che presto il ventiduenne riceverà istruzioni per la notifica ed il giuramento. Una storia a lieto fine dopo mesi in cui da più parti si è dato sfogo all’indignazione per un ragazzo che vive in Italia da quando ha un anno ma che ancora non ha la cittadinanza. Lui stesso nei giorni scorsi, intervistato dal quotidiano “la Repubblica” aveva espresso il suo rammarico: “non è giusto che una persona che vive e cresce con la cultura italiana per così tanti anni ed è pulito, non abbia ancora oggi il diritto di cittadinanza. E non parlo solo per me”.

Non parlava solo per sé Khaby Lame. Parlava a nome di quei circa 887 mila bambini, bambine, ragazzi e ragazze che vivono e studiano nel nostro paese da sempre ma che ancora non sono italiani. Una schiera di giovani cresciuti in Italia che per ottenere la cittadinanza devono seguire trafile burocratiche infinite che, quando va bene, si concludono dopo anni passati a compilare carte e consegnare documenti. Se la storia di Khaby è una storia a lieto fine, lo stesso non si può dire per centinaia di migliaia di altri giovani italiani che italiani non sono ancora e che attendono il loro turno guardando attoniti il tweet di Sibilia. Un tweet che sembra riconoscere al tiktoker, che non ha nessuna colpa in questa vicenda, una corsia preferenziale per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Se Sibilia afferma infatti che il decreto per la concessione della cittadinanza è stato emanato a inizio mese, è inevitabile notare come l’annuncio arrivi a poche ore dalle polemiche scatenate dall’intervista rilascia a “la Repubblica” e immediatamente dopo che Lame è diventato il più seguito di sempre su TikTok. Un tempismo quantomeno sospetto che sembra voler riconoscere al ragazzo lo status di cittadino italiano più per la sua visibilità che per la reale fine delle pratiche di concessione. E inevitabilmente questo passaggio non è passato inosservato: “Salve sign. Sibilia, anche a me piacerebbe avere la cittadinanza ma non sono una famosissima tiktoker e non ho il reddito abbastanza alto da potermi permettere di compilare la domanda per la concessione della cittadinanza. sono qui da 20 anni e studio all’università. Potrebbe emanare anche per me un decreto di concessione?” scirve qualcuno in risposta al sottosegretario. O anche: “Che orribile cosa. Non per il buon Khaby Lame, ma per il principio di uguaglianza calpestato davanti a tuttə queə italianə natə in Italia senza cittadinanza che devono solo aspettarla come una concessione da voi dall’alto”.

La cittadinanza italiana però deve essere un diritto e non può diventare un premio o un privilegio. Agli occhi dell’opinione pubblica, e soprattutto di chi quello status lo attende da anni, questa vicenda sembra trasformare la cittadinanza in un riconoscimento per quel che è stato fatto. Da Adam e Ramy, i due giovani che sventarono il dirottamento di un bus nel milanese, a Khaby Lame passando per l’assurda storia dell’esame di Luis Suarez, nel nostro paese la cittadinanza sembra sempre più essere subordinata a un qualche gesto di particolare rilievo: sportivo, social o sociale che sia. Ma così non deve e non può essere. Nessuna colpa, lo ripetiamo, hanno la star di Tik Tok o i due giovani che hanno salvato 51 compagni di scuola da uno squilibrato. Le colpe sono di una politica ancora impantanata su “ius soli” e “ius scholae” che tenta di salvare le apparenze agevolando la concessione della cittadinanza a quei personaggi in grado influenzare l’opinione pubblica su questi temi e continuando a rendere un inferno le pratiche per l’ottenimento a tutti quegli invisibili la cui unica colpa è non essere diventati star del web. 

Mercoledì 29 giugno la Camera dei Deputati discuterà la proposta di legge sulla cittadinanza che mira a introdurre lo Ius Scholae, ovvero dare la cittadinanza italiana ai bambini figli di extracomunitari che abbiano frequentato almeno un ciclo scolastico in Italia, senza che debbano aspettare il compimento dei 18 anni. Un provvedimento che molti giovani aspettano da sempre e che potrebbe rendere più facile l’accesso alla cittadinanza a chi qui vive e studia da sempre. Un provvedimento di civiltà che potrebbe far fare al nostro paese un passo in avanti enorme sul tema dei diritti. Un passo in avanti che già vede l’opposizione netta delle destre secondo cui questo provvedimento sarebbe “una scorciatoia controproducente”. Controproducente per chi, ancora non è chiaro. Forse solo per quella politica che non saprebbe più come premiare quegli italiani ancora stranieri che in futuro diventeranno star del web o compiranno gesti eroici per la comunità.  

I referendum sulla giustizia spiegati bene

Il 12 giugno oltre 51 milioni di Italiani saranno chiamati a votare i cinque referendum sulla giustizia promossi da Lega e Partito Radicale. Nella nostra breve guida proviamo a spiegarvi i cinque quesiti e quello che andrebbero a modificare nel sistema attuale.

Domenica 12 giugno, in contemporanea con le elezioni amministrative in 978 comuni, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sui cinque referendum sul tema della Giustizia. I quesiti nascono dalla raccolta firma promossa da Lega e Radicali e sono stati dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale e dunque indetti per decreto dal Presidente della Repubblica il 6 aprile scorso. I due partiti promotori ne avevano proposto un sesto, sulla responsabilità civile dei magistrati, ma la Consulta lo ha ritenuto inammissibile come già aveva fatto per i referendum su cannabis ed eutanasia legale.

Quando e come si vota – La tornata referendaria si svolgerà nella sola giornata di domenica 12 dalle ore 7 alle ore 23 ed al termine delle operazioni di voto si precederà immediatamente allo scrutinio. Come previsto da un’apposita circolare del Ministero della Salute, per votare sarà necessario recarsi al seggio con una mascherina da indossare durante tutta la permanenza presso la struttura. Chi dovesse essere positivo al covid ed in isolamento domestico dovrà far pervenire una richiesta al proprio comune entro il 7 giugno dichiarando di voler votare e richiedendo la possibilità di esprimere il proprio voto presso l’indirizzo in cui si sta svolgendo la quarantena. Gli aventi diritto al voto per questa tornata saranno 51,1 milioni e sarà necessario, affinché ciascuna consultazione sia valida, che voti la maggioranza degli aventi diritto. Trattandosi di referendum abrogativi, chi vuole mantenere in vigore le norme che si propone di cancellare deve rispondere ‘No’ sulle schede. Chi è d’accordo con i promotori deve rispondere ‘Si’ in modo che non abbiano più valore di legge.


Refrendum n. 1 – Scheda rossa
Abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Con questo primo referendum si chiede ai cittadini se siano o meno d’accordo ad abrogare la cosiddetta “legge Severino” che dispone l’interdizione dai pubblici uffici in caso di condanna definitiva. In altre parole, con il sistema attuale, un politico condannato in via definitiva viene automaticamente dichiarato incandidabile e nel caso ricopra cariche in quel momento gli vengono tolte con effetto immediato. Qualora vincesse il “SÌ” verrebbe eliminato il decreto facendo così venire meno l’automatismo e dando ai giudici la facoltà di decidere di volta in volta se applicare ai condannati l’interdizione dai pubblici uffici.


Referendum n.2 – Scheda arancione
Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale.

Attualmente, durante le indagini il PM può chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) di disporre una misura cautelare (carcere, domiciliari, obbligo di firma ecc.) per soggetti sospettati di aver commesso un reato. Tra le motivazioni che possono portare il gip a concedere la misura cautelare preventiva vi è tra gli altri il pericolo di reiterazione del reato. Se, cioè, un soggetto sospettato di aver commesso un reato è ritenuto in grado di ricommetterlo nel breve periodo il giudice può disporne l’arresto ad indagine ancora in corso. In caso di vittoria del “SI” verrebbe eliminato il rischio di reiterazione del reato dalle motivazioni per cui i giudici possono disporre misure cautelari preventive. L’arresto preventivo potrà essere comunque disposto nei seguenti casi: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità, con armi o altri mezzi violenti.


Referendum n.3 – Scheda gialla
Separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati.

Con un quesito assurdamente lungo e contorto si vuole chiedere in realtà una cosa molto semplice: volete abrogare la norma che oggi consente di passare agevolmente dalla carriera di PM (colui che coordina le indagini e sostiene l’impianto accusatorio a processo) a quella di Giudice (colui che in un processo è chiamato a decidere)? Mentre oggi si può passare, anche più volte, dal ruolo di giudice a quello di PM, se vincesse il ‘Sì’ si introdurrebbe nel sistema giudiziario italiano la separazione delle carriere: i magistrati dovranno scegliere dall’inizio della carriera se assumere il ruolo di giudice nel processo (funzione giudicante) o quello di pubblico ministero (funzione requirente, colui che coordina le indagini e sostiene la parte accusatoria) per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.


Referendum n.4 – Scheda grigia
Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.

Tra le funzioni svolte dal Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) vi è anche quella di valutare l’operato dei magistrati in base a valutazioni che vengono fornite periodicamente dai togati presenti nei Consigli giudiziari, organi territoriali formati da togati e laici (professori universitari e avvocati). Se vincesse il “SI” si estenderebbe la possibilità di partecipare a queste valutazioni anche ai membri laici dei consigli giudiziari.


Referendum n.5 – Scheda verde
Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Si tratta del quesito sulla riforma del Csm attualmente composto da membri di diritto (Presidente della Repubblica, il primo presidente della Corte di cassazione e il Procuratore generale della Corte costituzionale) e da membri eletti per due terzi da tutti i magistrati di ogni ordine e grado e per un terzo dal Parlamento in seduta comune. Attualmente, per potersi candidare a membri del Csm è necessario raccogliere da 25 a 50 firme, in caso di vittoria del “SI” invece si tornerebbe al sistema in vigore fino al 1958 per il quale qualsiasi magistrato in servizio può candidarsi senza bisogno di raccogliere firme. Il quesito in questione è pensato per porre un freno al sistema delle cosiddette “correnti” finite al centro delle polemiche dopo il caso Palamara. 


Riforma Cartabia – Dopo colpevoli ritardi e lungaggini burocratiche, tra il 14 e il 15 giugno arriverà in Senato per l’approvazione definitiva la Riforma della giustizia. Tre referendum su cinque trattano questioni contenute nella “riforma Cartabia”: quelli che riguardano le modalità di elezione dei membri togati del Csm, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni. Se questi tre referendum dovessero essere approvati, il Parlamento sarà chiamato a modificare le disposizioni della riforma relativamente a questi tre temi adeguandosi ai risultati della tornata elettorale. Qualora il Parlamento approvasse invece il testo così come è attualmente, il comitato promotore potrebbe aprire un contenzioso davanti alla Corte costituzionale per capire se la nuova legge rispetti oppure no quello che viene definito il “verso del referendum”.

Allarme siccità in tutta Italia: si va verso il razionamento dell’acqua potabile?

In gran parte delle regioni italiane l’acqua scarseggia e mentre i raccolti già sono a forte rischio è sempre più concreta la possibilità di un razionamento dell’acqua potabile per i cittadini. Ma le responsabilità di questa ondata di siccità non sono solo delle condizioni atmosferiche estreme.

La mancanza d’acqua era già preoccupante ad inizio primavera quando temperature sopra la media ed assenza di precipitazioni avevano messo a dura prova le riserve idriche del nostro paese. Ora con un’anomalia climatica sempre più evidente la mancanza di acqua potabile sta diventando un vero e proprio problema nazionale e potrebbe portare a conseguenze gravi anche in territori solitamente non toccati dalla cronica siccità estiva. I cambiamenti climatici, insomma, hanno portato l’Italia ad una situazione che si era vista raramente nella storia recente del nostro paese con una siccità diffusa in tutte le regioni e situazioni al limite dell’emergenza in diverse zone.

A lanciare l’allarme è stato nei giorni scorsi l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche che ha sottolineato come siano diverse le regioni italiane, da nord a sud, che stanno affrontando situazioni di grave criticità. In particolare preoccupano le situazioni di Lombardia e Lazio: “Mentre in Lombardia si va verso lo stato di crisi idrica regionale” si legge nel comunicato di ANBI “l’incubo del razionamento dell’acqua potabile torna ad aleggiare sul Lazio, dove la quasi assenza di precipitazioni sta diventando allarmante: calano significativamente i livelli dei fiumi Tevere e Liri, ma anche dei laghi di Bracciano e di Nemi.” Sui Colli Albani, per evitare interruzioni di fornitura idrica, il gestore Acea Ato2 ha chiesto alla regione un incremento di prelievo dalla sorgente del Pertuso, una delle fonti del fiume Aniene, la cui condizione già critica (-60% rispetto alla media stagionale) rischia di aggravarsi. Situazione analoga si registra in Emilia Romagna, dove piogge disomogenee hanno portato leggero ristoro agli esangui corsi d’acqua, ma non hanno impedito che il bilancio idroclimatico di alcune zone scendesse al di sotto dei minimi storici. Grave è anche la situazione dei fiumi toscani, dove l’Arno ha una portata pari al 27% della media e l’Ombrone è in grande sofferenza, trasportando solo 1,56 metri cubi al secondo. In Abruzzo nei mesi scorsi, a causa della scarsa pioggia, sono stati toccati livelli di deficit superiori al 90% (ad esempio a Penne con -93,3%). A ciò si aggiunge la sofferenza delle regioni del sud Italia e delle isole, tradizionalmente soggette a fenomeni di siccità nei mesi estivi: in Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna la situazione risulta drammatica con il livello dei bacini idrici, naturali e artificiali, in costante diminuzione e vicino alla soglia critica.

La situazione al momento è critica e l’annunciato arrivo di “Scipione”, l’anticiclone africano che porterà temperature oltre i 35°, rischia di far ulteriormente precipitare le condizioni delle riserve idriche in tutta la penisola. Dopo un inverno in cui la pioggia è stata un miraggio, insomma, ci stiamo addentrando in un’estate in cui di precipitazioni non se ne vede nemmeno l’ombra. La prima conseguenza la si avrà sui raccolti con Coldiretti che ha già sottolineato come, con le condizioni attuali, siano a forte rischio le semine primaverili di riso, mais e soia ma anche le coltivazioni di cereali e foraggi, gli ortaggi e la frutta. E mentre i raccolti già soffrono, all’orizzonte si prospetta una misura drastica per arginare quanto possibile la mancanza di acqua potabile: il razionamento dell’acqua. In molte regioni, con il Lazio in testa, è infatti già allo studio la possibilità di chiudere i rubinetti in determinate fasce orarie ogni giorno per ridurre il consumo di acqua potabile e gestire così le riserve idriche in affanno in attesa che nuove precipitazioni possano dare respiro ad una situazione sempre più critica. 

Ma se il razionamento dell’acqua potabile, per quanto al momento tenuto come ultima spiaggia, può risolvere il problema in una situazione emergenziale come quella attuale è necessario un intervento strutturale in grado di ridurre al minimo il verificarsi di situazioni come quella che stiamo vivendo. Se buona parte delle responsabilità di questa situazione sono da attribuire a condizioni climatiche sempre più estreme non si può negare la presenza di fattori prevedibili e risolvibili: da un lato il mancato adeguamento alla domanda, con una rete idrica sempre uguale nonostante l’aumento della popolazione, e dall’altro una manutenzione carente della rete idrica provoca ogni anno perdite medie del 40%. Se dunque, nel breve periodo, poco si può fare per contrastare fenomeni atmosferici sempre più estremi, è necessario ed urgente un intervento volto a ridurre al minimo le criticità della rete idrica italiana in modo che possa resistere anche in situazioni di forte stress come quella attuale. L’arrivo dei fondi del PNRR, ad esempio, potrebbe essere un’occasione per investire su una rete idrica funzionante e con minori sprechi ma ad oggi la questione non sembra essere tra le priorità del nostro paese. Chissà che un’estate senza acqua possa far cambiare idea.