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Quirinale, the end: Perdono i partiti ma vince la politica. E adesso?

La rielezione di Mattarella non è la sconfitta della politica che, anzi, se vogliamo ne esce vincitrice. È senza dubbio, però, la sconfitta del sistema dei partiti e dei leader politici che li guidano. Ora il panorama è desolante con spaccature e crisi ovunque che impongono una ricostruzione da zero.

Alla fine, è Mattarella Bis. La svolta arriva alle 10.36 quando Matteo Salvini si lascia sfuggire una dichiarazione sibillina mentre chiacchiera a microfoni spenti con i cronisti in Transatlantico. “Non si può andare avanti solo con i veti” dice il leader leghista “a questo punto conviene andare decisi sul bis di Mattarella. Ma dobbiamo essere tutti convinti”. È il momento in cui, per dirla con le parole di Letta, “il piano si fa inclinato” e la pallina inizia a scivolare inarrestabile verso la fine della discesa. Così, mentre in aula si prosegue con la settima votazione a vuoto, fuori dal palazzo la situazione si evolve rapidissimamente. Il Premier Draghi, dopo un colloquio con Mattarella a margine del giuramento al Quirinale di Filippo Patroni Griffi come giudice della Corte Costituzionale, rimane a colloquio da Mattarella facendo da trait d’union tra i partiti e il presidente uscente. Registra una disponibilità di massima e, immaginiamo, la comunica ai leader della maggioranza. La pallina scivola sempre più veloce. Iniziano e registrarsi le reazioni dei partiti e sono tutti con Mattarella al punto che Casini, fino a quel momento ancora in corsa con il sostegno di Forza Italia, si fa da parte: “Chiedo al Parlamento, di cui ho sempre difeso la centralità, di togliere il mio nome da ogni discussione e di chiedere al presidente della Repubblica Mattarella la disponibilità a continuare il suo mandato nell’interesse del Paese”. C’è una sola voce fuori dal coro, quella di Giorgia Meloni che inferocita twitta immediatamente: “Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato. Non voglio crederci”. Ma la pallina ormai è inarrestabile e alle 15 arriva l’atto formale con la salita al Colle dei capigruppo di maggioranza a chiedere ufficialmente la disponibilità del Presidente uscente. “Avevo altri programmi” dice Mattarella “ma se è necessario ci sono”. E così si arriva al plebiscito dell’ottava votazione: 759 voti, il più votato dopo Pertini, e fine della corsa.

Ma al di là della cronaca della giornata di ieri, oggi è tempo di bilanci. Da ieri la teoria più ricorrente è quella secondo cui “l’elezione di Sergio Mattarella è la sconfitta della politica”. Non è così. La rielezione di Sergio Mattarella è una sconfitta, nettissima, ma non della politica. È la sconfitta del sistema dei partiti, uscito a pezzi da una settimana di vergognoso teatrino. Quei partiti che si sono dimostrati incapaci di trovare un punto di incontro. Quei partiti che per una settimana hanno fatto fuoco e fiamme bruciando uno dopo l’altro esponenti autorevoli della vita politica ed istituzionale della Repubblica Italiana. Quei partiti che alla fine hanno scelto la via più semplice, ripiegando sul presidente uscente nonostante le sue richieste di trovare un altro nome. Il sistema dei partiti a cui siamo abituati, con leader e capigruppo che conducono saldamente i loro parlamentari, si è disciolto. Per giorni i grandi elettori, da un lato e dall’altro, hanno votato di testa loro in totale autogestione avviando di fatto a partire dalla terza votazione una inedita “operazione Mattarella”. Il risultato è che per la prima volta sono i leader a seguire i parlamentari e non viceversa. Condottieri senza esercito ed eserciti senza condottieri rappresentano uno scenario inedito e dissacrante per il sistema dei partiti e per la politica italiana. Uno scenario che vede in definitiva la sconfitta dei partiti e dei loro leader ma non della politica che, anzi, ne esce se possibile vincitrice. La politica vince perché i Grandi Elettori sembrano votare come espressione dei cittadini che rappresentano, votando in modo spontaneo un presidente che piace al 66% degli italiani (dati SWG per La7, gennaio 2022). Sembra dunque ripristinarsi quel principio di rappresentanza che è cardine della democrazia e della politica. Poi, ovviamente, non è tutto bianco o nero e dunque è chiaro che dietro quei voti sparsi non ci sia solo la volontà di dare voce a quel 66% di cittadini pro-Mattarella ma anche la paura di un cambiamento improvviso con ripercussioni imprevedibili sul governo. Ma è un inizio, e non è poco visti i tempi bui.

Tempi bui per i leader e tempi bui per le coalizioni che escono con le ossa rotte da questa settimana e che ora dovranno cercare un nuovo equilibrio e, presumibilmente, creare una nuova geografia. A farne maggiormente le spese è stato senza dubbio il centrodestra che, arrivato a inizio votazioni con la presunzione di essere granitico, si è spaccato inesorabilmente sotto le picconate dei franchi tiratori. Quel centrodestra che aveva in mano il pallino del gioco ma che non è riuscito a condurlo arrivando a bruciare la seconda carica dello stato. Ad oggi la situazione nella coalizione sembra irrisolvibile con Forza Italia che da venerdì pare aver scaricato definitivamente i compagni meno moderati. I timori di una rottura anche tra Lega e Fratelli d’Italia, saliti dopo il no secco di Giorgia Meloni diventano quasi certezze dopo le dichiarazioni rilasciate da Giorgia Meloni al Corriere della sera: “con Lega e Forza Italia, oggi, siete ancora alleati? In questo momento no. Mi sembra che abbiano preferito l’alleanza col centrosinistra, sia per Draghi che per Mattarella. Se per fare una prova manca un terzo indizio, quello è la legge elettorale: c’è chi cercherà di cambiarla in senso proporzionale. Se ci staranno, ci sarà poco da aggiungere”. I tre principali poli del centrodestra, dunque, sono divisi come mai lo erano stati prima. Nel prossimo anno, prima delle politiche della primavera 2023, bisognerà ricostruire da zero un’alleanza che possa presentarsi unita alle urne per puntare al governo o sarà l’ennesima occasione sprecata. 

Nel centrosinistra, invece, la coalizione sembra reggere ma a spaccarsi sono i partiti. Il Movimento 5 Stelle è una polveriera e ieri sera, dopo le scaramucce dei giorni scorsi, è iniziata la resa dei conti. Di Maio, pochi minuti dopo il discorso con cui Mattarella accetta l’incarico, convoca i giornalisti e attacca Conte. “Alcune leadership hanno fallito” dice “credo che anche nel M5s serva aprire una riflessione politica interna”. Non che servissero dichiarazioni pubbliche per capirlo. Proprio l’operazione “Mattarella – Bis”, nata non a caso dalle fila del M5S e poi appoggiata da Di Maio, è stato il segnale che qualcosa non andasse. Ora il Movimento dovrà ripartire ricucendo, o strappando definitivamente, le due anime prevalenti che lo compongono: quella dimaiana e quella contiana. Il PD, cosa strana per un partito di “sinistra”, sembra essere quello che ha meglio retto il colpo senza dividersi. Certo, anche nel Partito Democratico, sono stati tanti i grandi elettori a votare Mattarella in autonomia senza seguire le istruzioni del leader ma Enrico Letta sembra essere quello uscito meglio da questa debacle. i spende a lungo, con prudenza, per Mario Draghi, muovendosi sul filo del rasoio, con Giuseppe Conte che vuole il premier morto, in compagnia di Dario Franceschini, e contando sull’ambivalente sostegno a distanza di Luigi Di Maio. E siccome non si tratta di fatti personali, ma solo di politica, cura anche il canale con Italia viva. Azzecca la tattica parlamentare sulla prova di forza con Maria Elisabetta Alberti Casellati, lasciando il centrodestra a contarsi. Invita al volo a assecondare la saggezza dei grandi elettori, dopo la prova del nove su Mattarella.

Ora si spengono le luci. Il Transatlantico svuotato torna nel silenzio e le strade intorno a Montecitorio tornano ad essere percorribili da tutti. Come abbiamo già detto nei giorni scorsi, per chi ama e segue la politica quello dell’elezione del Capo dello Stato è uno dei momenti più belli e divertenti che ci possano essere. Così oggi resta un po’ di malinconia, come quella che sale dopo l’ultimo giorno di scuola. Ma da domani inizia un altro anno di politica e, visti i presupposti, si preannuncia un anno particolarmente movimentato. Insomma, pare proprio che ci sarà da divertirsi. O da mettersi le mani nei capelli, se preferite.


Le immagini che restano

  1. La salita: I capigruppo salgono al Colle per chiedere ufficialmente il Bis a Mattarella.
  2. Applauso: Alle 20.19 Fico pronuncia per la 506° volta il nome di Mattarella. I rappresentanti politici presenti in aula si alzano in un lungo applauso.
  3. Discorso: il presidente rieletto pronuncia immediatamente un breve discorso: “I giorni difficili che stiamo vivendo richiamano al senso di responsabilità e al rispetto del volere del parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri a cui si è chiamati”

Quirinale, giorno 5: Il centrodestra è morto, il centrosinistra spaccato. Così l’elezione del Presidente diventa una rissa

Sono le 14.58 quando Fico annuncia i risultati della prima votazione segnando la fine del centrodestra. La sconfitta della Casellati fa implodere la coalizione e costringe a nuove trattative con il centrosinistra che, però, in serata si spacca.

Quando il gioco si fa duro, i franchi tiratori iniziano a giocare. È la legge non scritta delle elezioni per il capo dello stato. Questa volta i traditori non sono 101 ma 71 e a farne le spese non è il centrosinistra ma il centrodestra. A farne le spese è la seconda carica dello stato: la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. E peggio di così non poteva andare. Quella che doveva essere una prova di forza, si è rivelata una catastrofe. L’obiettivo del centrodestra, che conta 453 grandi elettori, era di arrivare almeno a 410-420 voti dimostrando così una certa unità prima provare l’affondo nel pomeriggio. Alla fine, però, l’asticella si è fermata a 382. Pochi. Troppo pochi.

La Casellati segue lo scrutinio al fianco di Fico contando i voti “segnati” come da copione dai partiti del centrodestra. Capisce che qualcosa non sta funzionando. Inizia a messaggiare nervosamente dal suo smartphone, tanto che Fico deve rallentare più volte la conta perché lei smette di passare le schede ai segretari. Alla fine della votazione sembra abbia un attimo di mancamento, lo percepiscono in pochi, ma un assistente parlamentare si affretta a darle un sostegno fisico, offrendole il braccio. Esce dall’aula senza dire nulla. La seconda carica dello stato è bruciata da 71 franchi tiratori. Non serve molto per capire chi ha tradito. Come da consolidata tradizione i partiti hanno “segnato” le schede, scrivendo lo stesso nome in modo diverso, per misurare la fedeltà. L’accordo di ieri era chiaro: la Lega scrive solo Casellati, Fdi Elisabetta Alberti Casellati, Forza Italia Elisabetta Casellati, Coraggio Italia Alberti Casellati. Le defezioni, in questo modo portano una firma inequivocabile. La firma di Forza Italia, proprio il partito della Casellati. Il centrodestra si spacca con Meloni e Salvini che si dicono uniti e accusano gli azzurri. È il momento più buio per la coalizione che si sentiva invincibile e che ora smarrita sembra in cerca di una via. Intanto il tempo stringe in vista della seconda votazione fissata per le 17 e il momento sembra propizio per il centrosinistra che dopo l’astensione del mattino potrebbe riprendere in mano la partita. Non è così, dal vertice tra PD LeU e M5S non escono nomi ma solo l’indicazione di votare scheda bianca. Una scelta fatta più che altro per misurare quella frangia che da giorni vota per Sergio Mattarella e le cui fila vanno ingrossandosi. Come prevedibile, mentre il centrodestra decide di astenersi, i voti per il presidente uscente arrivano da ogni dove e alla fine saranno 336. Due nulla di fatto, alla fine della giornata, ma se il secondo passa sostanzialmente senza fare danni il primo è un vero cataclisma.

E adesso che succede? È questa la vera domanda che aleggia, irrisolta a fine giornata. Dal tardo pomeriggio, dopo lo strappo sul voto alla Casellati, Forza Italia si è smarcata dagli alleati iniziando ad incontrare in autonomia i leader del centrosinistra in cerca di un accordo senza rispondere più a Lega e Fratelli d’Italia. Salvini e Meloni devono ammettere la sconfitta e rinunciano a forzature aprendo al dialogo con tutti. A un passo dal baratro, Matteo Salvini incontra il premier Draghi per verificare in estremo la possibilità di un accordo che tenga insieme il destino del governo e il nome del prossimo capo dello Stato. Poi subito da Conte e Letta per trovare un nome condiviso con le forze politiche che sembrano trovare una quadra e per qualche ora sembra si sia addirittura trovato l’accordo per votare Elisabetta Belloni già da questa mattina. Ma è un’illusione che dura poche ore, giusto il tempo di far circolare il nome sui principali media italiani. Da subito Forza Italia si dice contraria alla numero uno del DIS ricevendo l’appoggio di Italia Viva con Renzi che annuncia che non la voterà. Anche i cinque stelle si spaccano con DI Maio che attacca Conte con una dichiarazione dai toni forti: “Trovo indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso. Lo avevo detto ieri: prima di bruciare nomi bisognava trovare l’accordo della maggioranza di governo. Tutto ciò, inoltre, dopo che oggi è stata esposta la seconda carica dello Stato. Così non va bene, non è il metodo giusto”.

È chiaro a questo punto che se la Belloni venisse eletta salterebbe la maggioranza venendo meno quel principio di condivisione tra tutti i partiti auspicato da Draghi. Ma mentre anche i grandi elettori del Pd pubblicano comunicati duri sulla decisione di Belloni e sul passaggio diretto dai Servizi al Colle, sorge il dubbio che il suo nome sia stato fatto per disorientare gli avversari e la stampa su quella che sarà la vera mossa dei leader delle forze che reggono il governo. Riemerge insomma lo spettro di un accordo tra Salvini e Conte. L’idea che i due possano tramare in segreto per trovare un nome era già circolata nei giorni scorsi tanto da costringere Letta ad imporsi nel vertice di ieri mattina e chiedere l’astensione del centrosinistra alla prima votazione, temendo che nel segreto dell’urna questo accordo diventasse palese con l’elezione della Casellati. Di certo, appare scelta incauta quella di spifferare sottovoce alla stampa, come hanno fatto i leghisti, o proclamare a gran voce, come ha fatto Grillo, il nome del candidato presidente il giorno prima dello scrutinio per eleggerlo. Verrebbe da pensare che l’intento vero sia quello di bruciare Belloni, coprendo con questa notizia il nome vero. Italia Viva e Forza Italia credono ancora che l’operazione Casini possa riuscire. Marta Cartabia è un’altra opzione ancora percorribile, se vengono superate le resistenze grilline. E poi c’è Mattarella per il quale ieri si è mossa una marea di grandi elettori e su cui molti iniziano a nutrire più di qualche speranza.

Le certezze insomma sono sostanzialmente due: il centrodestra non esiste più e il centrosinistra potrebbe fare la stessa fine a breve. L’elezione del Capo dello Stato, insomma, si trasforma in un tutti contro tutti e dal marasma emergono le forze populiste che potrebbero provare il colpaccio. Oggi potrebbe già essere il giorno decisivo con il tentativo di eleggere un Presidente già da questa mattina (prima votazione alle 9.30). Ma oggi, potrebbe essere anche l’ennesima giornata di scontro e trattative in attesa che si sblocchi una situazione che pare sempre più intricata.


Le immagini che restano

  1. Sconforto: La casellati segue sconfortata e con distacco lo spoglio che la vede sconfitta.
  2. Tradito: Primo ad uscire dal vertice con Conte e Salvini, Enrico Letta parla di responsabilità ed ottimismo, afferma che “ci vuole tempo” evitando di fare riferimenti a nomi o personalità. Passano pochi minuti ed escono gli altri due leader che decidono per una linea diversa annunciando che la candidata sarà una donna. “Basta, ci vuole serietà, sennò così si bruciano candidati e soluzioni” il commento stizzito del leader del PD
  3. Tweet: Elio Vito comunica su Twitter di non aver voluto seguire l’indicazione di voto del suo schieramento, ovvero di votare Elisabetta Casellati, e al tempo stesso di non far parte del gruppo dei franchi tiratori che, nell’urna, hanno “tradito” la comanda dei leader. “Non sono d’accordo con la decisione del cdx di votare, senza un accordo, Casellati. Il metodo giusto per eleggere il Capo dello Stato in questa situazione è cercare la condivisione con il centrosinistra” aveva comunicato poco prima sempre sui social.

Quirinale giorno 4: La fine della corsa per Casini e i nomi autorevoli bruciati a ripetizione

È il giorno della calma. La quiete dopo la tempesta che mercoledì ha scombussolato i piani spaccando il centrodestra e scuotendo il centrosinistra. Una giornata in cui si cerca di rimettere insieme i pezzi mentre un accordo sembra ancora più lontano.

Dopo la tempesta di mercoledì, alle 11 si è tornati in aula per votare ma questa volta le strategie sono diverse. Il centrosinistra dà indicazione ai suoi di votare scheda bianca, il centrodestra di astenersi. Così, con 441 grandi elettori astenuti, le schede bianche diventano 261 e si consuma l’ennesimo nulla di fatto nella prima giornata con il quorum a 505. Ma lo scrutinio di ieri ha dimostrato anche un’altra cosa: la forza di Sergio Mattarella. Lo hanno votato in 166, senza che nessuno lo avesse ufficialmente proposto. Sono 166 voti spontanei, 41 in più rispetto al giorno precedente, che indicano come la stima e la fiducia nel presidente uscenti sia ancora tanta. L’ipotesi di un bis resta assai remota, visto che come dice Salvini “ha già detto di no per 18 volte”, ma non così impossibile. Se tutte le altre porte dovessero chiudersi tra rifiuti e nomi bruciati la sua potrebbe essere l’ultima a cui andare a bussare facendo affidamento al suo alto senso istituzionale.

L’altro dato, come detto, è quello dei 441 grandi elettori di centrodestra che non hanno votato. La strategia, decisa all’ultimo minuto nel vertice di centrodestra di ieri mattina, aveva l’obiettivo di contarsi. Il centrodestra in questo modo sa, o pensa di sapere, che nella votazione di oggi parte da 441 voti sicuri e che, di conseguenza, ne mancano 63 per raggiungere il quorum. Ma la strategia di Salvini, che continua a vestire i panni di kingmaker nonostante le evidenti difficoltà, di falle sembra averne parecchie. In primo luogo, perché ha già dimostrato di non saper controllare i voti dei suoi che oggi, nel segreto dell’una, potrebbero non seguire le indicazioni dei tre leader. Ma soprattutto perché quella conta che doveva essere prova di forza si è trasformata in un boomerang ed il centrodestra astenendosi ha confermato di essere minoranza smentendo di fatto le ipotesi di spallata che circolano da giorni con i leader della coalizione che minacciano di eleggersi da soli il capo dello Stato. Allo stato attuale, di fatto, non sarà possibile. Soprattutto perché, ancora una volta, si registrano defezioni nello schieramento: il centrodestra ha 453 grandi elettori, ieri sono stati 441 quelli astenuti. 12 grandi elettori, pur sapendo che sarebbero stati individuati, hanno deciso di non seguire le indicazioni dei leader. Immaginatevi cosa può accadere oggi quando tutti e 453 avranno la certezza di non poter essere individuati tra i voti espressi.

Voti espressi, si. Perché oggi il centrodestra uscirà dalla logica della scheda bianche e per la prima volta proverà a votare compatto un nome: quello della Presidente del Senato Casellati. Era il nome circolato nei giorni scorsi per la possibile “spallata”, la forzatura di Salvini per provare ad eleggersi da solo il Presidente. Ora diventa un nome di ripiego per provare a dimostrare la compattezza della coalizione e la capacità di votare in blocco un candidato per far pesare quel dato in una nuova trattativa da intavolare con Letta, Speranza e Conte. Ma la Casellati, oramai, è bruciata. Così come è sfumata l’ipotesi Casini, fino a ieri iperfavorito ma cassato senza appello da Giorgia Meloni ieri mattina nella sua rottura con Salvini. “Casini è un candidato di sinistra e per noi è irricevibile” il verdetto al termine del vertice di centrodestra di ieri. In giornata, dunque, si provano a rimettere insieme i pezzi. Sembrano salire le quotazioni di Elisabetta Belloni con l’appoggio totale di FdI, l’approvazione della Lega, la gioia dei cinque stelle e un ok non troppo convinto del PD. Per qualche ora, nel pomeriggio, sembra cosa fatta. Poi qualcosa si inceppa e quello della numero uno dei Servizi Segreti diventa l’ennesimo nome bruciato. Renzi dice un no secco, LeU attacca, i più moderati del centrodestra la affondano. Alla fine è Di Maio a darle il colpo di grazia: “Profilo alto, ma non vogliamo spaccare la maggioranza”. E mentre Letta continua con la strategia attendista, più per non spaccare la maggioranza che per altro, Salvini raduna le sue truppe e cerca nomi in ogni dove. Prende contatti con il presidente di Fincantieri Giampiero Massolo e rimette sul tavolo le carte Frattini e Cassese. Il primo, di fatto, sembra messo li per fare numero. Non conosce la politica, la politica non conosce lui e, dato non da poco, ha troppi interessi per essere super partes. Il nome di Franco Frattini pare una mossa per provocare gli avversari che già si sono espressi con un secco no sull’ex ministro degli esteri. Cassese avrebbe l’appoggio di Fratelli d’Italia Lega e Pd, che lo aveva inserito nella sua rosa di nomi insieme ad Amato e Draghi, ma spaccherebbe la maggioranza con la contrarietà quasi totale di Forza Italia e Cinque Stelle.

Oggi assisteremo ad un altro nulla di fatto, con il centrodestra che si misurerà per la prima volta con il voto e il centrosinistra che punterà nuovamente sulle schede bianche mentre fuori dal palazzo si proverà a trovare un accordo. I nomi sul tavolo, come visto, sono tanti e sullo sfondo rimane quello del Presidente del Consiglio. Draghi in questi giorni ha interrotto le proprie trattative personali, iniziate con le prime votazioni, e continua a non mettere d’accordo i due schieramenti. Ma se dovessero saltare gli accordi su altri nomi sarebbe certamente pronto a lasciare Palazzo Chigi per salire al Quirinale. Rimane, insomma, una sorta di ultima spiaggia. Prima di tornare a bussare alla porta di Mattarella implorandolo di non dire no per la diciannovesima volta.


Le immagini che resteranno

  1. Rossoblu: Pierfierdinando Casini arriva a montecitorio sorridente indossando la sciarpa del Bologna, sua squadra del cuore. Ma quella di ieri per l’eterno centrista è la giornata in cui sfuma la possibilità di salire al Colle.
  2. Il caffè: Prima del vertice di centrodestra Salvini, Tajani e Toti si incontrano al bar per fare colazione. La Meloni non c’è, forse a causa della rottura del giorno prima
  3. Memoria: Quella di ieri è stata però anche la Giornata della Memoria. Vedere una donna sopravvissuta all’orrore dei campi di sterminio posare delicatamente la scheda con un voto (Perché come ha detto nei giorni scorsi “votare scheda bianca è irrispettoso”) suscita grande emozione. “Non può essere una giornata sola per nessuno, ma potete immaginare il giorno della memoria, quando tutti i giorni sono il giorno della memoria, per chi quella strada l’ha percorsa, per chi ha visto, per chi ha sentito, per chi ha fatto un passo dopo l’altro, una gamba dopo l’altra nella marcia della morte” ha detto ieri mattina la senatrice a vita.