La glorificazione di Ratko Mladic: da “boia di Srebrenica” a Eroe serbo

“Questo sta accadendo nel cuore dell’Europa e non facciamo il necessario per fermarlo.
Si trova nella sfera di influenza europea. Se ne dovrebbe prendere coscienza in ambito europeo.
Siamo più che complici del massacro.”
-Margaret Thatcher-
26 anni dopo il primo mandato di cattura è arrivata la condanna definitiva per Ratko Mladic. Il “boia di Srebrenica”, 78 anni compiuti, ha ascoltato per oltre un’ora il giudice del tribunale dell’Aia leggere il dispositivo che lo condanna a passare il resto della vita in carcere. Vestito con un abito nero e una cravatta azzurra, l’uomo che ha teorizzato e messo in atto uno dei più violenti genocidi della storia recente ha ascoltato in silenzio senza mai intervenire, come era invece accaduto nel 2017 quando in occasione della condanna di primo grado aveva più volte gridato “sono tutte bugie”.
Il massacro – Non sono tutte bugie, invece, e a confermarlo è il Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia. Ventisei anni fa, a partire dall’11 luglio 1995, a Srebrenica andò in scena il peggior massacro in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale definito dalla corte dell’Aia come un vero e proprio genocidio.

Designata nel 1993 dalle Nazioni unite come “area sicura” per i civili in fuga dai combattimenti tra il governo bosniaco e le forze serbe separatiste Srebrenica ospitava nel luglio 1995 ventimila profughi e trentacinque mila residenti difesi da circa cinquecento soldati delle forze internazionali posti a tutela della sua neutralità. Una tutela che, però, servì a ben poco. Scarsamente equipaggiati e impreparati ad un possibile combattimentoi soldati delle Nazioni Unite, facenti parte del battaglione olandese “DutchBat III”, furono sovrastati senza problemi dall’esercito serbo che l’11 luglio entrò nella città. Una volta preso il controllo di Srebrenica venne messo in atto un piano accuratamente studiato: il personale delle Nazioni Unite presente fu preso in ostaggio e posizionato in punti strategici della città per evitare attacchi volti a liberare Srebrenica mentre gli uomini al di sopra dei sedici anni venivano isolati e separati da donne e bambini. I primi vennero fucilati e gettati in fosse comuni, le seconde violentate e picchiate prima di essere trasportate in altre città. Il bilancio del controllo serbo a Srebrenica parla di oltre 8.000 musulmani giustiziati senza motivo dall’esercito comandato da Mladic.
Sostegno – Un massacro orrendo e ingiustificato che in Serbia viene visto diversamente. La condanna di Mladic è stata infatti accolta con sdegno da quella parte di popolazione secondo cui non è né il “macellaio della Bosnia” né “il boia di Srebrenica” ma un eroe nazionale. Il giorno del verdetto, un’organizzazione serbo-bosniaca ha proiettato nella piazza centrale di Bratunac, una cittadina a 10km da Srebrenica, un documentario apologetico sulla sua vita. A Banja Luka, capitale de facto della Republika Srpska di Bosnia, è comparso uno striscione con la scritta: “Non riconosciamo le decisioni dell’Aja. Sei l’orgoglio della Repubblica serba”. Il tutto mentre diversi tabloid titolavano “Mladic sarà per sempre un Eroe serbo”.

Esempi di come parte della Serbia ancora oggi non riconosca l’esistenza del genocidio e veneri le figure che invece lo causarono. Si tratta di quello che Hariz Halilovic definì “trionfalismo”: rimozione della realtà storica e glorificazione dei suoi protagonisti. Un meccanismo radicato nel paese e fomentato dalle istituzioni e da quei media che provano a raccontare la loro versione della storia. Basti pensare che Milorad Dodik, principale politico Serbo, ha più volte ripetuto pubblicamente che Mladic non è un criminale e che “è inaccettabile che venga definito così”. Così la macchina della contronarrazione serba ha dato vita ad una versione per cui ibosgnacchi sono descritti come dei serbi autoctoni che avevano “abbandonato” e “tradito” la loro etnia convertendosi all’Islam con l’obiettivo di colonizzare il paese e per questo andavano fermati. La rimozione del genocidio e della pulizia etnica si inserisce dunque in un quadro storico totalmente alterato, in cui i serbo-bosniaci si sono legittimamente difesi contro gli “invasori” musulmani. Una versione sempre sostenuta da buona parte della popolazione serba che ha preso ancora più piede nel clima islamofobo scaturito dagli attacchi dell’11 settembre a New York. Sfruttando il clima islamofobo post-attentato alle Torri Gemelle, insomma, la macchina propagandistica serbo-bosniaca ha avuto gioco facile nel dipingere il conflitto civile come una “guerra al terrore” ante litteram, arrivando a dire che le vittime di Srebrenica non erano bosgnacchi inermi ma “terroristi” in potenza. Con una simile operazione di revisionismo, dunque, le guerre jugoslave sono diventate il primo capitolo del nuovo “scontro di civiltà” tra il cristianesimo e l’islam; e quello della “Grande Serbia” non era un piano d’espansione nazionalista, ma la prima linea di difesa costruita per proteggere l’Europa dall’“invasione islamica”.
Una narrazione portata avanti con convinzione da più parte che ha finito per plasmare l’opinione pubblica allargando la platea di nostalgici ed estimatori di Mladic: non più il “boia di Srebrenica” ma un Eroe serbo. Quello che accadde ventisei anni fa, invece, rimane una macchia indelebile nella storia dell’uomo. A Srebrenica andò in scena quella disumanizzazione generalizzata che porta ad una violenza cieca ed immotivata. Ricordare i genocidi come quello di Srebrenica non impedirà che queste tragedie si verifichino ancora in futuro. Dopo il 1995 altri gruppi emarginati sono stati violentemente attaccati in paesi come Sudan, Siria e Birmania. Oggi gli uiguri, minoranza musulmana in Cina, vengono chiusi nei campi di concentramento e sterilizzati. Ma non possiamo smettere di ricordare Srebrenica e le atrocità passate. Il ricordo rimane l’unico strumento a difesa dell’integrità del passato dalle persone che vorrebbero correggere la storia per fare i propri interessi