La nascita della Repubblica tra tensioni, morti, accuse di brogli e un’Italia divisa
Tutto quello che c’è da sapere sul referendum che portò alla nascita della repubblica. Dagli aventi diritto al voto alle accuse di brogli, passando per la tensione crescente che portò alla forzatura di De Gasperi.
Era il 2 giugno 1946. La Seconda guerra mondiale era appena finita e con lei anche il ventennio di dittatura fascista. In un’Italia martoriata che si apprestava a ripartire il primo forte segnale arrivò dalle urne con la prima elezione a suffragio universale della storia del nostro paese. Il 2 e 3 giugno 1946 gli italiani furono chiamati al voto per l’elezione di un’Assemblea Costituente, alla quale sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale, e la scelta della forma di governo da dare allo stato: Monarchia o Repubblica. Fu proprio quello il quesito più importante di quel giorno, in grado di mostrare le spaccature di un paese ancora diviso. Un quesito che si risolse con la vittoria risicata della Repubblica: 12.717.923 voti contro i 10.719.284della Monarchia.
Votanti – La prima curiosità su quella tornata elettorale, però, riguarda proprio i votanti. Se è vero che furono le prime elezioni a suffragio universale e videro la partecipazione dell’89% degli aventi diritto (circa 25 milioni di votanti su un totale di 28 milioni) furono in molti quelli che non poterono votare quel giorno. Non poterono votare, ad esempio, i prigionieri di guerra e gli internati in Germania. Non poterono votare i cittadini della provincia di Bolzano, passata alla Germania durante la guerra e in quel momento ancora sotto il controllo militare alleato. Non si votò a Pola, Fiume e Zara, tre città italiane passate sotto il controllo della Jugoslavia. Non si votò neppure a Trieste, sottoposta ad amministrazione internazionale e al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954. Furono tanti, insomma, i territori esclusi in quella che fu un’elezione anomala quanto storica.

Risultati – Altra curiosità è quella che riguarda i risultati e la distribuzione del voto. L’esito delle consultazioni, infatti, non fu annunciato subito ma bisognò aspettare una settimana prima che, il 10 giugno, la Corte Costituzionale annunciasse la vittoria della Repubblica sulla monarchia con il 54% dei voti. Una vittoria resa possibile dalle circoscrizioni del nord Italia dove la forma repubblicana ottenne consensi altissimi e poté contrastare la vittoria della Monarchia al sud. Lo spoglio dei risultati, infatti, rese l’immagine di un paese profondamente diviso: in tutte le province a nord di Roma, tranne Padova e Cuneo, vinse la Repubblica. In tutte le province dal Lazio in giù vinse la Monarchia. In Piemonte, culla dei Savoia, la repubblica ottenne 1.250.070 voti, in Toscana 1.280.815. In Sicilia, al contrario, furono 1.301.200 i voti per la monarchia e «solo» 708.109 quelli per la Repubblica. Roma rimase nel mezzo, non solo a livello geografico facendo da spartiacque tra un nord repubblicano e un sud monarchico, ma anche a livello politico registrando una sostanziale parità tra i due schieramenti: 711mila voti per la Repubblica (49%), 740mila per la Monarchia (51%).
Brogli – I ritardi nello spoglio, che vide continui ribaltamenti soprattutto nei primi giorni, e il distacco minimo tra le due parti fece nascere le più varie teorie del complotto tanto che, ancora oggi, sono in molti a credere che in quell’occasione si verificarono brogli elettorali. I monarchici presentarono migliaia di ricorsi alla Corte di Cassazione, denunciando ogni tipo di anomalie rivelatrici, a loro dire, di un voto pilotato per far vincere la Repubblica. Per mettere i bastoni tra le ruote alla Repubblica chiesero anche di includere tra i votanti le schede bianche o nulle, sperando almeno di togliere la maggioranza assoluta raggiunta dai Repubblicani e aprire uno spiraglio per dichiarare il referendum non valido. Tentativi che si sono protratti nel tempo tanto da portare numerosi storici e studiosi ad occuparsene analizzando i risultati anche con tecniche moderne e all’epoca sconosciute. Il risultato delle analisi è sempre stato unanime: non ci fu alcun broglio.
L’incertezza e la macchinosità dello spoglio, certo, alimentarono i sospetti e favorirono la creazione di una leggenda che dura tutt’ora. Una leggenda su cui provò a scherzare, nel 1990, Gianni Minoli organizzando uno scherzo nel suo programma di approfondimento “Mixer” su Rai Due. Nella puntata del 5 febbraio 1990 il pubblico si ritrovò di fronte ad Alberto Sansovino, presidente di Corte d’appello in pensione, che tra le lacrime confessava l’impensabile. La notte tra il 3 e il 4 giugno 1946 faceva il presidente a Modena durante lo spoglio. Un misterioso professor Salemi chiese a lui e ad altri sei magistrati di fede repubblicana un atto patriottico. Al Sud in troppi votavano monarchia, e bisognava prendere provvedimenti. I magistrati decisero di sostituire le schede monarchiche, che sarebbero state distrutte al ministero dell’Interno, con nuove schede a favore della repubblica fornite da Salemi. Si decise che l’ultimo dei sette giudici a rimanere in vita dovesse confessare pubblicamente, e il fardello era toccato a lui. Solo alla fine dello show, che tenne incollati milioni di italiani al televisore, Minoli annunciò che si trattava di una bufala. Sansovino non era mai esistito, si trattava di un attore ingaggiato appositamente. E così quello scoop che in migliaia stavano aspettando da decenni non ci fu. Ci fu invece il tentativo, più che mai riuscito, di Minoli di mostrare a tutti quale potere potesse avere la televisione nella società moderna. Uno strumento in grado di far credere persino a teorie complottiste più volte smentite.

Scontri – Ma la questione dei brogli, soprattutto nei giorni immediatamente successivi fu centrale ed alimentò tensioni. Se oggi il 2 giugno è un giorno di festa non bisogna infatti pensare che fu così anche 75 anni fa quando, anzi, la tensione era altissima. I leader dei principali partiti, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Comunista e Repubblicano, erano quasi tutti a favore della Repubblica, ma temevano che al sud i monarchici avrebbero potuto organizzare insurrezioni o rivolte e che in caso di disordini i carabinieri si sarebbero schierati con il re. Anche i repubblicani erano divisi tra di loro: i centristi temevano che i comunisti stessero organizzando un colpo di stato o una rivolta, non troppo diversa da quella scoppiata in Grecia in quei mesi. Nell’attesa dei risultati la tensione crebbe a dismisura alimentata anche dallo scontro tra il governo provvisorio e la monarchia culminato con la celebre frase che De Gasperi rivolse al Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero: “Entro stasera, o lei verrà a trovare me a Regina Coeli, o io verrò a trovare lei”.
Intanto il sud Italia, a prevalenza monarchica aveva iniziato a ad essere irrequieto e iniziarono le prime azioni di protesta. A Napoli gruppi monarchici assaltarono la sede del partito Comunista, al cui interno si trovava tra gli altri anche Giorgio Napolitano, e l’intervento della polizia causò la morte di 9 manifestanti. Il 13 giugno, in un clima ormai troppo teso per attendere oltre, De Gasperi decise di forzare la mano. Senza aspettare i risultati ufficiali, confermati dalla cassazione solo il 18 giugno, annunciò la nascita della Repubblica e il passaggio dei poteri dal Re al governo. Nacque così, in un clima quasi da guerra civile, la Repubblica Italiana.