Perchè il conflitto tra Israele e Palestina è scoppiato proprio ora?

Può non piacere la parola, ma quello che sta avvenendo è un’occupazione,
teniamo 3.5 milioni di palestinesi sotto occupazione. 
Credo che sia una cosa terribile per Israele e per i palestinesi.

-Ariel Sharon-


Sono passati sette anni dall’ultimo scontro armato, sedici dalla ultima intifada. Ora, però, tra Israele e Palestina la tensione accumulata negli anni è esplosa in un vero e proprio conflitto. Improvviso ma non imprevedibile. Un conflitto che insanguina la striscia di Gaza e che ha già provocato 122 vittime, tra cui 20 donne e 31 bambini. Ma perché dopo anni di tensione si è arrivati ad un’escalation di violenza così drammatica. 

Miccia – Ventisette giorni prima del lancio del primo razzo su Gaza, militari israeliani hanno fatto irruzione nella moschea di Aqsa a Gerusalemme. Un raid rapido ma di una ferocia inaudita. I fedeli, raccolti in preghiera per celebrare l’inizio del Ramadan, dispersi con la forza. I cavi dei quattro altoparlanti, che trasmettevano le preghiere dai minareti della moschea, recisi per silenziare uno dei momenti più importanti della religione musulmana. Era il 13 aprile e, oltre all’inizio del mese sacro per i musulmani, si stava celebrando il Memorial Day israeliano per celebrare i caduti in combattimento. L’azione dell’esercito israeliano aveva uno scopo ben preciso: silenziare le preghiere musulmane per evitare che disturbassero le celebrazioni dei potenti vicini. 

Ventisette giorni dopo quell’aggressione il primo razzo colpiva Gaza. Ventisette giorni in cui la situazione è precipitata in modo incontrollabile, come una pallina su un piano inclinato. Come se in ventisette giorni tutti i nodi fossero venuti al pettine. Anni di occupazione in Cisgiordania, di discriminazione, di blocchi e restrizioni a Gaza, di schermaglie e proteste tra due popoli da sempre in conflitto. “È come se per anni si sia accumulata polvere da sparo e ora una miccia è stata accesa all’improvviso” ha commentato Avraham Burg, ex portavoce del parlamento israeliano ed ex presidente dell’Organizzazione sionista mondiale.

Escalation – Quella miccia accesa ha bruciato piano per ventisette lunghissimi giorni. I giovani palestinesi, che da tempo vivono una crescita esponenziale della propria identità nazionale, hanno deciso di non voler restare a guardare di fronte all’ennesima provocazione. Le proteste che hanno infiammato la Cisgiordania nei giorni successivi hanno rapidamente accorciato quella miccia portando quella che sembrava essere una piccola fiamma sempre più vicino all’enorme cumulo di polvere da sparo. Per settimane la Cisgiordania è stata teatro di aggressioni, attentati e scontri impari tra manifestanti palestinesi e militari israeliani. Fino a quando si è raggiunto il punto di non ritorno con due episodi che hanno definitivamente esaurito quella miccia fattasi sempre più corta.

Prima sei famiglie palestinesi sono state sfrattate dalle loro abitazioni dall’esercito israeliano. Sei nuclei familiari rimasti senza una casa per una decisione autonoma delle autorità israeliane nel tentativo di aumentare la presenza ebraica a scapito di quella araba nel rione di Sheikh Jarrah. Uno sfratto, l’ennesimo, che in un altro momento della storia del conflitto eterno tra i due stati, probabilmente, non avrebbe sortito nessun effetto ma che in una situazione di tensione crescente ha contribuito a far aumentare la tensione. Fino all’ultimo, decisivo, episodio: in occasione della “notte del destino”, la ricorrenza più solenne prima della fine del ramadan, i militari israeliani hanno fatto irruzione nella spianata delle moschee lanciando granate stordenti e gas lacrimogeni contro i fedeli in preghiera. L’ennesima aggressione ai danni dei fedeli nel mese più importante per la religione musulmana. Ma la miccia ormai era completamente bruciata e la fiammella che sembrava essere piccola e facilmente domabile come le volte precedenti si è fatta incendio ed ha fatto esplodere la polvere da sparo accumulata per anni. Una pioggia di missili si è abbattuta su Israele dando il via al conflitto che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere. 

La politica– Ma manifestazioni, soprusi e violenze in Cisgiordania sono all’ordine del giorno da anni. Perché, allora, questa volta la situazione è degenerata? Perché questa volta da un lato, quello palestinese, c’era una leadership in cerca di riscatto mentre dall’altro c’era un vuoto enorme. Un vuoto che ha portato il leader incaricato di formare un nuovo governo, Benjamin Netanyahu, a forzare la mano mostrando i muscoli contro i palestinesi per ingraziarsi l’estrema destra israeliana ancora titubante sulla possibilità di unirsi alla nuova squadra di governo. Dall’altra parte, però, la risposta è stata diversa da quella che si poteva attendere il leader israeliano. I leader palestinesi di Hamas, che spesso sono stati meno propensi ad aumentare la tensione, per recuperare consensi in costante calo anche in vista delle elezioni che si dovrebbero tenere nei prossimi mesi hanno deciso di cavalcare quel sentimento di orgoglio e rabbia che anima i palestinesi. In un certo senso, per Hamas, i fatti di Sheikh Jarrah e le solite manifestazioni del Ramadan erano un’occasione imperdibile per mettersi a capo delle proteste e riaffermare la propria presa sull’elettorato palestinese. L’occasione è stata colta: Hamas ha di fatto infiltrato i movimenti di protesta con i propri membri, alimentato la tensione con i propri mezzi di comunicazione e soprattutto superato esplicitamente quella che il governo israeliano considera una linea rossa, cioè la sicurezza degli israeliani che abitano a Gerusalemme e Tel Aviv, prese più volte di mira dai lanci di razzi compiuti in gran parte proprio da Hamas. Così alle forzature di Israele la Palestina non ha chinato la testa subendo le angherie dell’eterno nemico ma ha risposto con ritrovata determinazione.

Nessuno, vedendo quello che stava accadendo nei ventisette giorni prima dei bombardamenti, avrebbe immaginato lo scoppio di un conflitto. Non lo immaginava l’intelligence israeliano che in quelle settimane aveva indicato come principale avversario il Libano sottolineando come invece la Palestina non facesse così paura. Era impensabile per gli osservatori esterni vista la “banalità” delle provocazioni israeliane, non diverse da quelle che da decenni subiscono ogni giorno i palestinesi. Ma questa volta qualcosa è cambiato interrompendo quel circolo di provocazioni- manifestazioni – violenze che da anni si ripeteva all’infinito. Una serie di fattori favorevoli si sono allineati portando ad una deviazione dalla strada tracciata in questi anni.

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