Export bellico: gli affari controversi dell’Italia

L‘Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali
– Costituzione Italiana, art. 11-
Tra le principali attività commerciali del nostro paese rimane la vendita di armi a paesi stranieri. Come previsto dalla Legge 185/90, che regola la vendita estera dei sistemi militari italiani, nei giorni scorsi è stata trasmessa al Parlamento la relazione annuale sull’export di armamenti del nostro paese. Dalla relazione si apprende che nel corso del 2019 l’Italia ha autorizzato la produzione e vendita di oltre 5 miliardi di armi destinate soprattutto a paesi extra-NATO e in particolar modo a paesi in cui è in atto un conflitto. Una situazione che fa sorgere dubbi sulla legittimità di tali operazioni visto che la stessa legge 185/90 all’art. 1 definisce in modo esplicito che l’export va valutato “secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Cosa – L’Italia nel 2019 ha esportato di fatto ogni tipo di materiale bellico. Ad incidere maggiormente sull’export del nostro paese è stata la vendita di aeromobili che ha fruttato 1,6 miliardi grazie al ruolo leader ricoperto dell’Italia nella produzione di elicotteri militari e pezzi di ricambio. Seconda voce per introiti è rappresentata dal comparto marittimo dove l’Italia ha esportato navi da guerra o sistemi ad essi collegati per un valore di oltre 600 milioni di euro con un guadagno in netto aumento rispetto all’anno precedente quando era stato di circa 38 milioni. Ma se queste sono le voci più corpose per quel che riguarda le esportazioni italiane, analizzando i dati presenti nella relazione appare evidente come il nostro paese sia in grado di esportare ogni tipo di materiale utile in scenari bellici. Dalle armi leggere e pesanti ai materiali per la visione di immagini, dalle apparecchiature criogeniche ai veicoli terresti, qualsiasi cosa serva, l’Italia è in grado di esportarla. Anche le armi chimiche.
Scorrendo tra le voci, infatti, emerge come l’Italia nel 2019 abbia avuto commesse per un totale di 136.350 euro per la vendita di “Agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiale radioattivo”. Se in parte si tratta di maschere e altri materiali filtranti e dunque “di difesa” la gran parte delle commesse riguarda le oltre 4.000 cartucce lacrimogene di diverso tipo vendute dalla “SIMAD spa”, azienda con sede a L’Aquila. L’Italia ha venduto questi materiali a sette paesi: Albania, Algeria, Belgio, Brasile, Finlandia, Thailandia e Hong Kong. Dalla relazione emerge dunque in modo chiaro come l’Italia abbia venduto gas lacrimogeni di diverso tipo per un valore di 34.000 euro alle forze dell’ordine di Hong Kong rendendosi in qualche modo complice, per lo meno morale, della repressione del movimento democratico.

Clienti – Ma Hong Kong non è l’unico cliente scomodo del nostro paese in fatto di vendita di armamenti. Al primo posto tra i paesi a cui l’Italia ha venduto più armi, infatti, compare l’Egitto. Nel 2019 si è infatti registrata una vera e propria impennata nelle vendite di armamenti al regime di Al-Sisi che, mentre nell’anno precedente era al decimo posto tra i partner commerciali con importazioni belliche pari a 69 milioni, ha acquistato armi dall’Italia per un totale di 871 milioni di euro. A pesare maggiormente è stata la vendita di 32 elicotteri (24 elicotteri AW149 più 8 AW189) realizzati dall’azienda “Augusta Westland” del gruppo “Leonardo”. Ma tra i materiali venduti ad Al-Sisi compaiono anche armi automatiche, bombe, apparecchiature per l’addestramento militare e per la direzione di tiro. Tutto l’armamento necessario, insomma, per portare avanti la repressione interna e le guerre appoggiate dal paese. Mentre da più parti viene sottolineata la necessità di interrompere le relazioni diplomatiche e commerciali con l’Egitto per fare pressioni ed ottenere la verità sulla morte di Giulio Regeni e l’arresto di Patrick Zaki, l’Italia sta facendo di fatto l’opposto aumentando le proprie esportazioni belliche verso un regime che reprime sistematicamente le opposizioni.
Nella lista dei paesi verso cui esportiamo armamenti compare poi il Turkmenistan che dal 2007 è di fatto una dittatura totalitaria monopartitica guidata da Gurbanguly Berdimuhamedow e a cui durante il 2019 abbiamo venduto armi per un totale di quasi 450 milioni di euro. Altre situazioni controverse sono quelle relative ai due principali attori del conflitto in Yemen. Sebbene nel luglio del 2019 una mozione approvata in Parlamento abbia richiesto la sospensione delle vendite di bombe d’aereo e missili all’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti le esportazioni verso le due monarchie non si è mai interrotta. Lo scorso anno dall’Italia sono state vendute armi ai due paesi per un totale di oltre 190 milioni di euro. Armi, munizioni e mezzi italiani, dunque continuano ad alimentare anche il conflitto nello Yemen.
Situazioni che si rivelano particolarmente controverse soprattutto alla luce di quanto dispone la stessa legge 185/90 che, sempre all’art.1 comma d, stabilisce il divieto di vendita di materiale bellico “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa”. Egitto, Hong Kong, Turkmenistan, Arabia Saudita ma anche Turchia, Israele ed India sembrano invece confermare una tendenza del nostro paese ad incrementare il più possibile le esportazioni senza curarsi troppo di come potrebbero essere utilizzati gli armamenti venduti.