Patrimonio culturale: il passato per proteggere il futuro

Nell’infinito conflitto israelo-palestinese anche il patrimonio storico e culturale gioca un ruolo di primo piano. Così anche luoghi di inestimabile valore diventano pedine sullo scacchiere di una guerra impari.

L’incessante conflitto israelo-palestinese si è evoluto dal ’48 ad oggi cambiando spesso forma, luogo, e modalità. Alcune di queste modalità sono piuttosto chiare ed ampliamente trattate, come ad esempio la sottrazione strategica delle risorse idriche a danno della popolazione palestinese. Tuttavia, altre fra queste, non sono facilmente individuabili rendendo così qualsiasi tipo di intervento più complicato. Tra questi, un argomento di cui poco si conosce e ancora meno si tratta è quello del patrimonio culturale palestinese.

IL PATRIMONIO CULTURALE Secondo l’UNESCO, Organizzazione delle Nazione Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, il “Patrimonio rappresenta l’eredità del passato di cui noi oggi beneficiamo e che trasmettiamo alle generazioni future. Il nostro patrimonio, culturale e naturale, è fonte insostituibile di vita e di ispirazione”. Tale definizione racchiude in sé l’eredità ricevuta dal passato, che ispira e anima la vita nel presente e il lascito di cui godranno le generazioni future. Inevitabile è quindi lo stretto legame che si instaura fra il patrimonio culturale e l’identità del popolo che l’ha creato e mantenuto nel tempo. Senso di appartenenza, spirito d’identità collettiva e legame con la propria terra si intersecano indissolubilmente e si rispecchiano nella promozione e valorizzazione del proprio patrimonio culturale. Scriveva nel ‘75 Kapuscinsky riguardo al legame del palestinese con la propria terra che “è il saldo e irriducibile il patriottismo del contadino per il quale la terra possiede un valore sovramateriale, è parte della sua personalità e ragione della sua vita”. Si possa immaginare il valore di questa terra se su questa sia espressa una qualsiasi rappresentazione della propria storia e cultura. 

In seguito alla massiccia distruzione di patrimoni culturali durante la Seconda guerra mondiale, nel 1954 è stata approvata ed entrata in vigore la “Convenzione per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato”, primo trattato internazionale con l’obiettivo di salvaguardare i patrimoni culturali mondiali dalle possibili conseguenze devastanti dei conflitti. Tuttavia, in un conflitto in cui la terra è l’obiettivo e l’occupazione il mezzo, è facile, nonché strategicamente vantaggioso, non attenersi alla convenzione. Difatti, spesso, è stata sottratta al popolo palestinese la gestione del proprio patrimonio culturale, ponendo i siti di interesse sotto il controllo civile e militare israeliano, nella cosiddetta AREA C. Per quanto non si tratti di un attacco armato, tale sottrazione è un attacco alla vera identità palestinese. Inoltre, in questo modo vengono neutralizzate potenziali risorse economiche e turistiche che la Palestina potrebbe sfruttare.

BATTIR Ma esiste un caso in cui il titolo di patrimonio culturale dell’umanità conferito dall’UNESCO ha portato anche ad un trionfo palestinese. È successo con il sito UNESCO “paesaggio culturale di Battir”, situato a pochi chilometri a sudovest di Gerusalemme e noto per i suoi terrazzamenti di viti e ulivi risalenti all’epoca romana. Il villaggio di Battir è stato minacciato a lungo dal tracciato della “barriera di separazione israeliana” che avrebbe, oltre che causato danni irreversibili a questo sito culturale, isolato i contadini del villaggio dai terrazzamenti coltivati da secoli. Solamente la nomina del sito di Basir a patrimonio dell’UNESCO ha fermato la realizzazione del muro, impedendo di fatto il piano israeliano per indebolire il villaggio palestinese.

Immagine che contiene esterni, erba, pietra, roccia

Descrizione generata automaticamente

 SEBASTIA In linea con la narrazione della potenza occupante c’è Sebastia, n piccolo villaggio di 4500 abitanti a circa 12km a nord ovest di Nablus. Sebastia, città dell’antica Samaria, presenta al suo interno una divisione tra AREA B, a controllo misto di autorità palestinese ed israeliana, ed AREA C, comprendente tutto il sito archeologico, sotto completo controllo israeliano. In pochi chilometri di terra, Sebastia raccoglie nel suo territorio i resti di una città risalente all’Età del Ferro, la città romana di Erode, la Chiesa dei Crociati e la Tomba di Giovanni Battista, venerato anche dall’Islam. La ricchezza del patrimonio rende Sebastia una pedina sullo scacchiere politico israelo-palestinese che vede le due parti scontrarsi con i molti mezzi dell’uno ed i pochi dell’altro. A prendersene cura, vista la difficoltà dei locali a causa della divisione in aree, sono in particolare organizzazioni no profit internazionali, tra queste l’Associazione ATS Pro-Terra Sancta.

Si tratta di un’organizzazione no profit che realizza progetti di conservazione del patrimonio culturale, di sostegno alle comunità locali e di aiuto nelle emergenze umanitarie. L’impegno nella conservazione dei luoghi si traduce in quello di accrescere la consapevolezza del loro valore in tutte le comunità locali. Dalle attività svolte in loco si creano opportunità per formare tecnici e artigiani qualificati, occupare giovani, donne e persone con disabilità, generando inoltre fonti di reddito tramite l’attivazione di iniziative socio-imprenditoriali legate al turismo sostenibile ed a nuove forme di accoglienza. Proprio in termini di accoglienza, da diversi anni, il Mosaic Centre di Gerico e l’Associazione Pro-Terra Sancta lavorano insieme per preservare e valorizzare il patrimonio culturale delle comunità locali in due villaggi della Cisgiordania: Sabastia e Nisf Jubeil. Oggi anche sede di accoglienti guest house che hanno dato nuova vita a rovine abbandonate.

Quanto conta il patrimonio culturale? Sono due gli elementi da considerare. Esternamente, le barriere, siano esse fisiche o legislative, deturpano il patrimonio, togliendo a tutti, non soltanto alle comunità locali, la possibilità di godere della loro straordinarietà. Sarebbe stato questo il caso di Battir ed è il caso di Sebastia, dove non è scontato il semplice utilizzo di bidoni della spazzatura che ridonerebbero dignità alla bellezza antica del luogo.

Internamente, il patrimonio culturale è senso di appartenenza e radici di un popolo, ma anche possibilità di giovare di tale bellezza in termini di sviluppo economico e sbocchi lavorativi. La sottrazione di tali risorse altro non è che una strategia mirata a tagliare il cordone ombelicale che li lega alla propria storia e terra. Tuttavia, ne scaturisce un effetto opposto. Il ricordo e la lotta per la libertà divengono sinonimo di resilienza e resistenza. Sui muri di tante città Palestinesi c’è un simbolo: la chiave. Quella delle loro case di cui, prima o poi, torneranno a prendersi cura.

Authors: Morgane Afnaim; Carolina Lambiase

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