25 dicembre 1914: come il Natale fermò la guerra

La più bella favola del Natale arriva dalla realtà. Nel 1914 una tregua spontanea sul fronte occidentale regalò una giornata di umanità e fratellanza ai due schieramenti in guerra. Una partita di pallone impresse per sempre quel momento nella storia della I Guerra Mondiale.

Doveva essere una guerra lampo, la Prima Guerra Mondiale. Era questa per lo meno l’idea di Guglielmo II, ultimo imperatore tedesco, che il 1° agosto salutò i soldati in partenza per il fronte con la celebre frase “Tornerete nelle vostre case prima che siano cadute le foglie dagli alberi”. La storia ci insegna che non fu così e l’Europa divenne teatro di violenti scontri tra due schieramenti: Gran Bretagna, Francia e Russia da una parte, Germania, Austria-Ungheria e Turchia dall’altra. Più tardi sarebbero entrati nel conflitto anche Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di Paesi “minori”, trasformando così la contesa nella prima guerra su scala globale della storia. Cinque mesi dopo la dichiarazione di guerra, i soldati erano ancora nelle trincee. A fine autunno, la battaglia di Ypres aveva fermato l’avanzata delle truppe tedesche verso il mare ma aveva anche trasformato il conflitto in una estenuante guerra di logoramento. I due schieramenti si fronteggiavano dalle trincee. I soldati, barricati in fossati profondi due metri e rinforzati alla buona con assi di legno, venivano scagliati dai superiori all’assalto del nemico quotidianamente per guadagnare una manciata di metri. Tra le truppe dei due schieramenti, stremate da una guerra che credevano potesse essere breve come promesso, iniziò a serpeggiare un malcontento diffuso. Ma la guerra, si sa, non guarda in faccia nessuno e incuranti del malcontento malcelato dei soldati, i generali continuarono ad ordinare azioni per tutto l’inverno. Fino al giorno di Natale.

A nulla era servito l’appello di Papa Benedetto XV che, il 7 dicembre 1914, chiese ai due schieramenti di concedere una tregua natalizia auspicando che “i cannoni possano tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano”. Una richiesta caduta nel vuoto. Rifiutata categoricamente dagli ufficiali su tutto il fronte occidentale. Nel susseguirsi di giorni drammaticamente uguali, solo gli auguri dei superiori ricordano ai soldati che è Natale. Il primo Natale lontano da casa. Il primo Natale passato al fronte a combattere una guerra ordinata da altri. Tra i soldati, nelle trincee, oltre al malcontento inizia a sentirsi una forte malinconia. Qualcuno beve per dimenticare. Alcuni mettono delle candele sul bordo delle trincee. Qualcun altro osa cantare. Un canto natalizio che ben presto contagia tutta la trincea. E mentre si leva al cielo la voce dei soldati qualcuno si accorge che nell’altra trincea, quella che dicono esser nemica, succede lo stesso. Per alcuni interminabili minuti, le voci di tedeschi e inglesi si levano all’unisono in un canto di speranza e fraternità. E allora si alza la testa oltre il fossato e, per la prima volta, non si rischia di perderla. Si esce dalla trincea e non si deve richiedere nessun fuoco di copertura. Si cammina sul campo di battaglia e, per la prima volta, nessuno rischia di morire.
È il miracolo del Natale. Quella che sembra la più bella favola è invece realtà. Il fronte occidentale si ferma. Oltre 100.000 soldati, contravvenendo agli ordini dei superiori, fermano la guerra. Una tregua spontanea, un cessate il fuoco su tutto il fronte. Soldati tedeschi e anglo-francesi si corrono incontro, si abbracciano, si scambiano doni. Quello che fino al giorno prima era un bersaglio diventa all’improvviso un amico, un fratello. Quella “terra di nessuno” tra le due trincee, fino al giorno prima luogo di morte e orrore, diventa la terra di tutti, diventa luogo di vita e festa. Tabacco, cibo, alcolici, ma anche bottoni e pezzi di divisa: qualsiasi oggetto si trasformò in un simbolo di amicizia da regalare al nemico. Lo racconta bene, nel suo diario, Bruce Bairnsfather fumettista britannico chiamato al fronte come Capitano della 34° divisione.  Non dimenticherò mai quello strano e unico giorno di Natale” scrisse “Notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed essendo io un po’ collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni. Presi la mia tronchesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei in cambio. Vidi uno dei miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale, intento a tagliare i capelli innaturalmente lunghi di un docile soldato tedesco
All’improvviso, dalla trincea inglese, qualcuno calciò un pallone di stoffa. Quello strano oggetto, tutt’altro che sferico, rimbalzò tra i soldati. Qualcuno, siamo certi, lo guardò sorridendo mentre ripensava alle partite giocate prima della guerra. Tutti si fermarono a guardarlo fino a quando qualcuno più intrepido degli altri, o semplicemente più ubriaco, gli tirò un calcio. Iniziò così la partita più bella e significativa del secolo scorso. Iniziò così quella che, non ce ne vogliano i protagonisti di quell’indimenticabile Italia-Germania di Città del Messico, fu la vera “partita del secolo”. Senza squadre, porte nè limiti di campo. Senza arbitri, senza regole. Tedeschi e inglesi continuarono a tirare quella palla da una parte all’altra fino a notte fonda. Qualcuno continuò fino a crollare esausto al suolo. La partita finì 3-2 per i tedeschi, o almeno questo scrissero alcuni soldati nei loro diari. La tregua continuò anche il giorno seguente per permettere ai due schieramenti di recuperare i corpi abbandonati dei propri caduti e riportarli nelle trincee. Molti dei partecipanti alla tregua furono puniti dai superiori. i battaglioni iniziarono ad essere trasferiti sempre più rapidamente da un campo di battaglia all’altro per impedire ai soldati di fraternizzare con i nemici. I superiori cercarono di far dimenticare quel momento di leggerezza ai soldati. Tentarono di nasconderlo anche al mondo. Oggi, 115 anni dopo, una frase sul diario di un soldato rimane la più preziosa testimonianza di quello che quel momento rappresentò per i le truppe:

“Il pallone aveva rimpiazzato le pallottole.
Per la durata di una partita di calcio l’umanità
aveva ripreso il sopravvento sulla barbarie”

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