La lezione di Genova a vent’anni dal massacro


“E allora tu non puoi dimenticare
il soffio del respiro soffocato
l’idea di resistenza e ribellione
e del suo fiore che hanno calpestato”
A Genova, tra il 19 e 21 luglio 2001, andò in scena “la più grave sospensione dei diritti umani in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”. Parlare di quello che accadde in quei quattro, drammatici giorni, significa fare memoria di un movimento represso come mai si era visto fare nella storia democratica del nostro paese. Un movimento, mosso dall’utopia di un mondo fatto di pace e uguaglianza, radunato dietro uno slogan semplice quanto potente: “Voi G8, noi 6.000.000.000”. Uno slogan che gridava al mondo l’indignazione per quel manipolo di 8 capi di stato riunito nel capoluogo ligure per decidere il destino di 6 miliardi di persone.
Il movimento – Spesso quando si parla di Genova e di quei giorni maledetti si riduce tutto a due parole: No Global. Erano stati etichettati così i movimenti che in quegli anni avevano deciso di battersi per un mondo più equo e senza guerre, contro il FMI che elargiva prestiti a tassi altissimi ai paesi in via di sviluppo, contro la Banca Mondiale che sosteneva una sanità privata a scapito di quella pubblica, contro l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) che impediva ai Paesi africani di proteggere attraverso i dazi le proprie colture, ma permetteva all’Unione europea di sostenere con ingenti sussidi le grandi multinazionali europee del settore agricolo. Tutto ridotto dai media in due parole: No Global. Contro la globalizzazione e, di conseguenza, contro il progresso. Un movimento che per questo era ritenuto pericoloso e da fermare e che per questo fu represso sin dalle origini: Seattle nel 1999 dove nacque; Praga, settembre 2000, in occasione del meeting di Fmi e Bm; Napoli, marzo 2001, durante il Global forum; Goteborg, giugno 2001, dov’era in corso un vertice Ue. E infine Genova, luglio 2001, il momento più buio e la fine di quel movimento.

Ma anche se per anni, e spesso ancora oggi, si è cercato di ridurre il tutto a quella dicitura la realtà era profondamente diversa. A Genova nel 2000 venne inaugurato il “Genoa Social Forum” una rete di 1300 realtà provenienti da tutto il mondo che per un anno ha lavorato ininterrottamente per pensare un mondo nuovo slegato da quelle logiche che sembravano imprescindibili. Non un rifiuto totale alla globalizzazione ma un rifiuto a una globalizzazione che lascia indietro gli ultimi e dà poco a tanti per dare tanto ai pochi. La consapevolezza di quanto fosse complicato cambiare la realtà quando ci si scontra con istituzioni finanziarie e politiche che dispongono di poteri immensi, unita alla necessità di evitare un confronto che era stato integralmente trasferito sul terreno della repressione, della delegittimazione mediatica e delle aule dei tribunali, indusse negli anni molte realtà del movimento a tornare nel proprio specifico ambito d’impegno. Il movimento dopo Genova iniziò a morire ma quegli ideali rimangono vivi.
I fatti – Quello che accadde nel capoluogo ligure tra il 19 e il 21 luglio, poi, è cosa ben nota. Dopo mesi di terrorismo mediatico, con i principali quotidiani italiani che alzarono la tensione all’inverosimile. Il Corriere della Sera in un articolo del 20 maggio parla di manifestanti finanziati da Osama Bin Laden e in possesso di armi non convenzionali. Il 23 giugno Repubblica, riportando fonti del SISDE, descrisse uno scenario secondo cui i manifestanti sarebbero stati pronti a rapire agenti di polizia e carabinieri ed usarli come scudi umani. La città venne blindata per resistere a quello che, stando ai proclami di media e politici, sarebbe stato uno scenario da guerra. Reti alte cinque metri delimitavano il centro cittadino e la cosiddetta “Zona Rossa” inaccessibile a tutti se non residenti. Batterie antiaeree e antimissili vennero disposte in varie zone della città mentre lo spazio aereo su Genova venne chiuso per evitare attacchi da parte dei manifestanti che, sempre stando a quanto lasciato trapelare dai servizi segreti, sarebbero stati pronti a usare droni per sganciare sacche di sangue infetto procurato da non meglio precisati manifestanti tedeschi su obiettivi sensibili.

Quello che accadde, come ben sappiamo, fu l’esatto opposto. Manifestanti pacifici, se non per un centinaio di blac block pesantemente infiltrati dalle forze dell’ordine italiane, vennero caricati e massacrati per due giorni da polizia e carabinieri. Un precipitare di eventi che portò, dopo una prima manifestazione pacifica cui presero parte il 19 luglio 2001 circa 50mila persone, a iniziative diffuse in città e a un secondo corteo il 20 luglio, seguito da un terzo il 21 luglio, tutti caricati e repressi anche lungo il percorso autorizzato. Tre i momenti che per sempre segneranno la storia del nostro paese. La morte di Carlo Giuliani, ragazzo di 23 anni ucciso con un colpo di pistola dal carabiniere Mario Placanica alle 17.27 del 20 luglio in piazza Alimonda. La “macelleria messicana” della scuola Diaz con centinaia di studenti disarmati e con le braccia alzate pestati selvaggiamente dalle forze dell’ordine. L’orrore di Bolzaneto e quelle torture subite dai manifestanti presi in custodia da uomini dello stato che avrebbero dovuto tutelarli.
L’eredità – Troppo spesso in questi anni si è parlato del G8 di Genova solo con riferimento alle violenze e agli scontri. Troppo spesso si è dimenticato che a Genova in quei giorni scendeva in strada il “movimento dei movimenti”. Sotto i colpi dei manganelli finì quella galassia altromondista mossa da ideali così all’avanguardia da essere attuali anche vent’anni dopo. Puntare i riflettori sulle violenze e non sui contenuti ha fornito ai governi un alibi perfetta per sorvolare su quei problemi, reali e urgenti, sollevati dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza in quei giorni. C’era l’idea di un mondo senza frontiere e senza razzismo, promossa dal corteo dei migranti che aprì quei giorni di lotta il 19 luglio 2001, che oggi sta alla base del movimento Black Lives Matter. C’era il tema del femminismo e le prime lotte per i diritti omosessuali. C’era il tema dell’ambiente e, addirittura, c’era già un sentore della gravità dei cambiamenti climatici come testimoniano le parole di Walden Ballo intervenuto in quei giorni a Genova: “la crisi è relativa al capitalismo e alla sua tendenza a trasformare ogni risorsa in un prodotto da vendere, un sistema antitetico all’interesse della biosfera. La crisi dei cambiamenti climatici si è acuita drasticamente e la contrapposizione tra economia capitalista ed ecologia è evidente”. C’era in quei giorni e in quella generazione una voglia, non di anti-politica come qualcuno ha interpretato, ma di una politica nuova. Una politica fatta di ideali e che puntasse al miglioramento della società attraverso il riconoscimento dei diritti e dell’altro.
In quei giorni nelle piazze di Genova c’era la ricetta per anticipare le più grandi crisi di questi anni.
A Genova in quei giorni c’era già tutto. Ma tutto quello che c’era è stato coperto di sangue.