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Verso il voto: cosa dicono i programmi dei partiti su ambiente e clima

In vista del voto del 25 settembre abbiamo analizzato i programmi politici dei quattro principali schieramenti politici che si presenteranno a questa tornata elettorale per verificare se e come l’ambiente sia presente nelle idee dei partiti.

C’è una crisi a cui stiamo andando incontro totalmente impreparati. No, non parliamo della crisi economica né di quella energetica. La crisi più drammatica a cui stiamo assistendo è la crisi climatica che sta trasformando completamente l’ambiente e le nostre vite e che, senza contromisure immediate, potrebbe portare a conseguenze catastrofiche. Lo sanno bene i più giovani che proprio sui temi ambientali sembrano essere i più attenti come conferma l’ultimo sondaggio pubblicato da Repubblica il 1° settembre in cui emerge come un terzo dei giovani italiani si definiscono ambientalisti e chiedono un maggior impegno della politica su questi temi. Ma in vista delle prossime elezioni del 25 settembre, i principali schieramenti politici sembrano aver lasciato da parte la questione ambientale riservandole, quando va bene, uno spazio marginale all’interno dei programmi.

Centrosinistra (PD, Verdi-Sinistra Italiana, Impegno Civico, +Europa) – Il centrosinistra, grazie soprattutto alla presenza dell’alleanza rossoverde tra Verdi e Sinistra Italiana, è senza dubbio la coalizione con il programma più articolato per quanto concerne le tematiche ambientali. Tra le principali proposte portate dal tandem Fratoianni-Bonelli all’interno del programma elettorale del centrosinistra c’è l’approvazione di una legge per il clima con obiettivi coerenti e vincolanti a tutti i livelli. All’interno della stessa dovrebbe trovare spazio lo stanziamento di fondi per la realizzazione di opere di cambiamento climatico giudicate assolutamente indispensabili dal leader di Sinistra Italiana che ha ricordato come “negli ultimi quarant’anni l’Italia ha registrato ventimila morti a causa di eventi estremi, seconda solo alla Francia come numero di decessi”. Sul piano pratico, l’alleanza rossoverde propone lo sviluppo di una programmazione annuale che consenta di coprire l’80% del fabbisogno energetico nazionale con sole energie rinnovabili entro il 2030. La priorità, in questo piano di sviluppo, deve essere data in particolare all’energia solare e all’eolico mentre viene scartata l’ipotesi nucleare “come da mandato dei due referendum”. Per sostenere questa transizione, Sinistra Italiana e Verdi propongono l’eliminazione dei sussidi fossili (attualmente 20 miliardi l’anno) entro il 2025 e la redistribuzione di quelle risorse “come incentivo e supporto ai settori industriali e alle fasce sociali più esposte” ai cambiamenti di una transizione energetica. A ciò si aggiungono un programma di incentivi per l’utilizzo e lo sviluppo del trasporto pubblico locale e un nuovo piano rifiuti che punti da un lato allo sviluppo di un’economia circolare basata sul riciclo e dall’altro alla graduale eliminazione della plastica.

Misure meno estreme sono quelle proposte invece dagli alleati, ed in particolare dal PD che pur riconoscendo la transizione ecologica uno dei pilastri su cui basare l’azione dei prossimi quattro anni sostiene che gli obiettivi climatici devono essere “ambiziosi ma realistici”. Così nel programma della coalizione viene lasciata aperta la porta all’utilizzo di rigassificatori, come quello che tanto sta facendo discutere a Piombino, ma solo come soluzione temporanea da smobilitare “ben prima del 2050”. Dal punto vista legislativo, si pensa a una legge quadro sul clima e una riforma fiscale verde che “promuova gli investimenti delle imprese e delle famiglie a difesa del pianeta”, oltre all’implementazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (fermo al 2017). Previsto anche un Piano nazionale per il risparmio energetico e interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia, anche attraverso lo sviluppo delle Comunità energetiche, con l’obiettivo di installare 85 GW di rinnovabili in più entro il 2030. A ciò si aggiunge “la progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l’ambiente” senza però indicare tempistiche per la sua realizzazione, a differenza di quanto fatto da Verdi e Sinistra Italiana.

Sulla questione ambientale, insomma, il centrosinistra viene trainato dalle posizioni forti dell’alleanza Verdi-Sinistra Italiana il cui programma dettagliato e determinato sembra compensare la timidezza e la fumosità delle proposte degli alleati.

Centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati) – Nel programma congiunto del centrodestra l’ambiente finisce in fondo alle priorità, al dodicesimo posto sui quindici punti programmatici della coalizione destinata a vincere le elezioni. Se non scontata appare la decisione di mettere nero su bianco la volontà di rispettare gli impegni internazionali assunti dal nostro paese, vista la spinta della Lega per una revisione degli stessi, il resto del programma appare poco ambizioso e certo marginale.

Si parla, in modo generico e senza precisare tempi e modi, dello sviluppo di un “piano strategico nazionale di economia circolare” che possa “aumentare il livello qualitativo e quantitativo del riciclo dei rifiuti, ridurre i conferimenti in discarica, trasformare il rifiuto in energia rinnovabile attraverso la realizzazione di impianti innovativi”. Una proposta certamente di buon senso e condivisibile che però, senza dettagli su come e cosa fare, risulta essere più uno slogan elettorale che un impegno reale e prioritario. Lo stesso si può dire per le altre priorità del centrodestra in tema ambientale che vengono ridotte in due punti in cui si promette la “salvaguardia della biodiversità” e di “incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico e promuovere politiche di mobilità urbana e sostenibile”. Poca concretezza, oltre che scarsa ambizione, che rendono assolutamente marginale la tematica ambientale nella coalizione trainata da Giorgia Meloni.

A discostarsi maggiormente dall’ambientalismo è poi la parte di programma che riguarda “la sfida dell’autosufficienza energetica” in cui oltre a promettere una “transizione energetica sostenibile” vengono espressi i netti si della coalizione a termovalorizzatori, rigassificatori e nucleare. Sul nucleare il centrodestra ribadisce la volontà di voler valutare il ricorso al cosiddetto “nucleare pulito” per la cui realizzazione però bisognerà attendere ancora diversi anni trattandosi di tecnologie sulle quali ancora si sono ottenuti solo risultati di laboratorio privi di prospettive concrete nel breve e medio periodo.

Per quanto riguarda i singoli partiti, Fratelli d’Italia punta sull’aggiornamento del piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e sulla tutela delle coste e dei mari. La Lega sembra invece voler scommettere sulle montagne con la creazione anche di un ministero ad hoc per la loro tutela e sulla realizzazione di opere volte a garantire l’approvvigionamento idrico del paese. Forza Italia, dal canto suo, propone la piantumazione di un milione di alberi e il “potenziamento della semplificazione, di incentivi strutturali e crediti di imposta per le imprese che riconvertono e investono in eco innovazione e nuove tecnologie”. Appare evidente come il programma di centrodestra su questi temi punti più che altro a mediare tra transizione ecologica e tutela delle attività produttive e industriali.

Movimento 5 Stelle – Nato con una forte vocazione ambientalista, il M5S ha negli ultimi anni cambiato volto trasformandosi in un vero e proprio partito. Un cambiamento di cui risente anche l’attenzione alle tematiche ambientali che vengono accennate senza mai scendere nei dettagli. si parla, ad esempio, di una non meglio specificata “società dei 2.000 watt”, che dovrebbe “tendere a un modello sostenibile di consumo energetico” per ridurre le emissioni annuali di gas serra. A ciò si aggiunge la volontà di mantenere e anzi implementare il “Superbonus” per “per permettere la pianificazione degli investimenti sugli immobili e continuare a migliorare i livelli di risparmio energetico”, una proposta volta però più a ridurre i costi delle bollette che a salvaguardare l’ambiente. Nel programma del movimento si parla poi genericamente di “sburocratizzazione per favorire la creazione di impianti di energia rinnovabili” confermando però il secco no alla realizzazione di nuovi inceneritori e nuovi impianti di trivellazione. È importante sottolineare come nel programma non vi sia alcun riferimento al nucleare su cui però il Movimento 5 Stelle è sempre stato fermamente contrario e che, dunque, si può presumere mantenga la stessa posizione.

Terzo Polo (Italia Viva, Azione) – Carlo Calenda e Matteo Renzi intendono la questione ambientale dividendola in obiettivi di breve, medio e lungo periodo. Nel breve periodo il fulcro del programma è certamente un netto si al gas, con la realizzazione dei due rigassificatori per aumentare la produzione nazionale e ridurre gradualmente la dipendenza dal combustibile russo. Nel medio periodo l’obiettivo dell’alleanza Italia Viva-Azione è quello di ridurre del 50% l’emissione di CO2 entro il 2030 attraverso un percorso di decarbonizzazione volto a sviluppare fonti sostenibili. Una misura che almeno in parte sembra stridere però con la proposta di “abbassare il prezzo della CO2” per le imprese fino al termine della guerra in Ucraina, che tradotto significa abbassare le tasse sulle emissioni delle aziende costrette a utilizzare combustibili fossili visto il blocco del gas causato dal conflitto. Netto invece il sì al nucleare che, combinato con le rinnovabili, nella strategia del Terzo Polo dovrebbe permetter all’Italia di raggiungere entro il 2050 l’obiettivo “emissioni zero”.

La flat tax è incostituzionale?

La protagonista assoluta della campagna elettorale del centrodestra e la Flat Tax, una tassazione con aliquota uguale per tutti che, secondo analisti e avversari politici, rischia di essere incostituzionale. Proviamo a capire perché e se è realmente così.

Manca meno di un mese alle elezioni politiche del 25 settembre e nella fase più delicata di questa inedita campagna elettorale agostana il centrodestra lavora per convincere gli indecisi rilanciando un tormentone della scorsa campagna elettorale: la Flat Tax. D’altra parte il taglio delle tasse è da sempre cavallo di battaglia del centrodestra ed in particolare dell’ex premier Silvio Berlusconi che già promette agli elettori di attuare la riforma del fisco nei primi cento giorni di governo. Ma in questi giorni molti analisti e avversari politici stanno sottolineando come la proposta fiscale del centrodestra possa risultare incostituzionale in quanto contraria all’art. 53 della Costituzione che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Per capire se sia realmente così bisogna far chiarezza innanzitutto su cosa prevede la riforma fiscale inserita nel programma di centrodestra. Il sistema attuale è progressivo e prevede quattro diverse aliquote in base al reddito imponibile annuo: chi, ad esempio, ha un reddito fino ai 15.000 euro si trova così nel primo scaglione e dovrà versarne il 23% in tasse, mentre chi guadagna oltre 50.000 euro annui si trova nell’ultimo scaglione dovrà versarne il 43%. Si tratta, come evidente, di un sistema che punta alla redistribuzione delle ricchezze, come previsto dalla Costituzione, con tassazioni più elevate per chi ha redditi maggiori. Con la riforma fiscale pensata dal centrodestra e basata su una flat tax, invece, sparirebbero i quattro scaglioni previsti attualmente e si applicherebbe la stessa aliquota a tutti i redditi. In questo modo, dunque, chi ha un reddito annuo inferiore ai 15.000 euro pagherebbe la stessa percentuale di chi ha un reddito superiore ai 50.000 euro.  È evidente come il sistema sin qui descritto non sia né progressivo né in grado di tenere conto della capacità contributiva dei singoli nuclei ed apparirebbe assolutamente incostituzionale.

La Flat Tax, quindi, è irrealizzabile senza modifiche alla costituzione? La risposta è no. Nonostante le parole del senatore di Fratelli d’Italia Massimo Mallegni che nel corso di un dibattito ha sottolineato come sia necessaria una modifica della Carta costituzionale, la realtà è che la flat tax può essere introdotta con legge ordinaria senza intaccare la Costituzione. Anzi, la flat tax in Italia già esiste: il reddito dei lavoratori a partita IVA, infatti, è già tassato al 15% senza distinzioni sul reddito annuo. Per estendere questo sistema a tutti i contribuenti senza renderlo incostituzionale, però, sarà necessario introdurre dei correttivi che rendano meno “piatta” la Flat Tax avvicinandola il più possibile a quella progressività richiesta dalla Costituzione. Qualche indicazione su come i partiti di centrodestra intendano impostare la riforma fiscale ci arriva dal disegno di legge presentato dalla Lega nel maggio 2020, a firma del senatore Siri, per l’introduzione e l’implementazione di una tassa piatta. Nella proposta del carroccio per superare i dubbi di costituzionalità erano stati inseriti una “no tax area”, volta a salvaguardare i redditi più bassi esentando dal versamento delle imposte i contribuenti con reddito inferiore a 10.000 euro, e una serie di detrazioni e deduzioni graduate in base al reddito ed alla situazione familiare mirate a rendere più equa la tassazione. Se dunque senza correttivi sarebbe improponibile, impostata in questo modo la Flat Tax non risulterebbe incostituzionale e potrebbe rispettare il criterio della progressività fiscale. 

Ma se costituzionalmente un sistema fiscale come quello proposto dal centrodestra può essere accettabile, è evidente come questa riforma sia espressione di un momento politico-sociale caratterizzato da un forte individualismo e da una scarsa coesione. Sembra assai lontana quella “nuova stagione dei doveri” più volte richiamata nella storia repubblicana, e ripresa anche dal Presidente Mattarella negli ultimi anni, perché necessaria a salvare l’Italia da pericolose derive. La Flat Tax proposta dal centrodestra è la fine di quel principio di solidarietà di cui parla l’art. 2 della nostra Costituzione auspicando “l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il dovere di concorrere alle spese pubbliche, come stabilito da dottrina e giurisprudenza, è un dovere di solidarietà economica e sociale che richiede una tassazione progressiva basata su un sistema che riconosca la capacità contributiva di ciascuno. L’eliminazione, seppur attraverso correttivi, di un fisco progressivo mina quei principi stabiliti dalla Carta pur non violandoli espressamente. Ma al di là di una questione meramente astratta e sociologica come quella relativa all’art. 2, c’è anche una questione pratica che rende la tassa piatta inadeguata alla situazione in cui versa il nostro paese. Come si può pensare di mantenere i conti in ordine imponendo un’aliquota al 15% (o al 23% come proposto da Forza Italia), più bassa cioè anche dell’aliquota minima prevista dal sistema attuale che tassa al 23% i redditi inferiori ai 15.000 euro? È evidente come le entrate sarebbero nettamente inferiori. E, in un paese in cui il sommerso è di oltre 80 miliardi ogni anno, a poco valgono le parole dei leader del centrodestra che sostengono che con una tassazione del genere anche ci oggi evade le tasse inizierebbe a pagarlo. L’unica cosa certa è che alle condizioni attuali, una flat tax al 15% non potrebbe garantire le coperture necessarie. Forse bisognerebbe, prima di rivedere il sistema fiscale, occuparsi in modo serio e concreto del problema dell’evasione fiscale in Italia.